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Un tributo, quasi clandestino, a Nasrin Sotoudeh

Elisa Pinna
21 giugno 2021
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Un tributo, quasi clandestino, a Nasrin Sotoudeh
Nasrin Sotoudeh, a destra, in una scena del docufilm Nasrin.

Anche il pubblico italiano ha ora accesso al docufilm sull'avvocata Nasrin Sotoudeh, la donna simbolo della lotta per i diritti in Iran. Arrestata nel 2018, sta scontando una pena alla fustigazione e 14 anni in carcere.


La vediamo in cucina mentre prepara la cena insieme al marito o mentre gioca con i suoi due bambini. Oppure in tribunale mentre arringa i giudici o consola i parenti di giovani dissidenti arrestati o di vittime di omicidi a sfondo religioso, come nel caso di esponenti della minoranza ba’hai. O, ancora, carcerata dietro i vetri della stanza dei colloqui della prigione di Evin, a Teheran, mentre parla attraverso un telefono ai suoi figli, emozionati e con le lacrime agli occhi. Nasrin (2020), il pluripremiato docufilm arrivato in queste settimane in Italia tramite OpenDDB, in streaming e al cinema, segue la vita privata e pubblica dell’avvocata e attivista per i diritti umani iraniana Nasrin Sotoudeh, volto della resistenza agli abusi nella repubblica degli ayatollah e premio Sakharov per la pace, fino al momento del suo arresto, avvenuto nel 2018.

Da allora la donna è carcerata nella prigione di Evin, uno dei luoghi simbolo della repressione in Iran, dove deve scontare 14 anni di prigione e ricevere 74 frustate per reati contro la morale islamica e per incitamento alla prostituzione. Tradotto: per aver difeso le donne che, in pubblico, si toglievano il velo, e rivendicavano la libertà di indossarlo o meno.

Il documentario, diretto dal regista Jeff Kaufman, merita di essere visto per due motivi che si intrecciano tra loro: la ricchezza di immagini, documentazione, interviste, pezzi d’archivio che ricostruiscono non solo le vicende di Nasrin e della sua famiglia, ma anche il mondo del dissenso e degli attivisti per i diritti civili iraniani, le loro riunioni, i giornali sotterranei, i registi scomodi come Jafar Panahi, autore di Taxi, e a suo volta difeso dall’avvocatessa. Il secondo motivo è che è stato girato per quattro anni, dal 2014 al 2018, in modo totalmente clandestino da uomini e donne che hanno rischiato il carcere per mostrare un pezzo di Iran, senz’altro minoritario rispetto ai movimenti di piazza spontanei per le riforme economiche, contro il carovita e la disoccupazione degli ultimi anni, ma altrettanto importante.

Kaufman aveva chiesto un visto d’ingresso in Iran per fare le riprese ma gli era stato negato. Si era rivolto allora ad amici locali, che hanno portato l’occhio della telecamera dappertutto: dal carcere di Evin ai tribunali. Attorno a Nasrin Sotoudeh, da qualcuno definita «la Nelson Mandela iraniana», si sono mossi tanti eroi rimasti nell’ombra, a partire dal marito Reza, pronti a proseguire la battaglia dell’avvocata e a non farla dimenticare soprattutto in patria. In Occidente la donna è diventata rapidamente famosa dopo la sua durissima condanna.

«Anche se questo movimento non ha ancora raggiunto i traguardi sperati, è una esperienza e una risorsa per i passi futuri», ragiona l’attivista iraniana in uno dei suoi ultimi momenti di libertà, mentre cammina in un vicolo di Teheran, con il suo consueto completo nero e un fazzoletto chiaro in testa. «Per questo – prosegue – dovrei dirmi di sì, ho il diritto ad essere felice». Dal carcere, in una delle tante lettere al marito Reza, scriverà: «I nostri figli non devono ereditare il silenzio da noi».

Il docufilm può essere visto sul canale OpenDDB, in lingua inglese, con un’offerta minima di 4 euro.


 

Nasrin
regia
: Jeff Kaufman
soggetto e sceneggiatura: Jeff Kaufman
lingua originale: inglese, persiano
genere: documentario
anno di produzione: 2020
durata: 92 minuti

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