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Amman, i retroscena di un tentato golpe

Elisa Pinna
24 giugno 2021
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Circondato da grande riserbo, in Giordania è in corso il processo contro i presunti colpevoli del tentato colpo di Stato ai danni del re, sventato in aprile. E da Washington rimbalza l'ipotesi di un complotto internazionale.


Va in scena in questi giorni, con un processo a porte chiuse ad Amman, il secondo atto del misterioso tentativo di colpo di Stato contro il sovrano Abdallah II, sventato dalle autorità giordane lo scorso 3 aprile: tra gli arrestati e fermati vi era il fratellastro del re ed ex erede al trono, principe Hamzah, e ciò indusse allora ad ipotizzare – nella totale mancanza di altre informazioni – un regolamento di conti all’interno della dinastia hashemita.

Ora però un documento investigativo giordano e indiscrezioni di intelligence di paesi Occidentali, svelati negli Stati Uniti dal quotidiano The Washington Post, stanno delineando uno scenario ben più complesso ed inquietante. Avremmo a che fare con un complotto internazionale avviato sin dal 2019 per destabilizzare la Giordania, indebolire e ridurre al silenzio re Abdallah, colpevole di essersi messo di traverso agli Accordi di Abramo tra Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita e di essersi rifiutato di cedere il diritto storico della dinastia hashemita a custodire e proteggere i luoghi sacri, cristiani e musulmani, di Gerusalemme. Il complesso della Spianata delle Moschee, in particolare, sarebbe dovuto passare di fatto sotto il controllo dei nuovi alleati israelo-sauditi.

Dai documenti citati dal Washington Post, emerge che gli alti dignitari giordani incriminati come fiancheggiatori del principe Hamzah lavoravano a stretto contatto con «potenze straniere»: in particolare Bassen Awadullah, potente ex ministro delle Finanze giordano e uomo-chiave della vicenda, si muoveva per conto dell’erede al trono saudita Mohammed Bin Salman (spesso citato dai media internazionali con l’acronimo MBS).

Sin dalla sua ascesa al trono giordano nel 1999, re Abdallah, sull’esempio di suo padre Hussein, ha rappresentato un partner imprescindibile per l’Occidente in Medio Oriente, e ha goduto di una considerazione speciale alla Casa Bianca. Tutto ciò ha cominciato a scricchiolare con la presidenza di Donald Trump. Re Abdallah si è reso conto che il suo spazio si stava riducendo a favore dell’astro nascente, MBS. In un video del 2019, il sovrano giordano denunciava apertamente le pressioni straniere perché rinunciasse al suo «dovere» di proteggere i luoghi sacri di Gerusalemme, un «dovere» al quale la dinastia hashemita sin dal 1924, in quanto discendente da un ramo della famiglia del profeta Maometto. «Non cambierò mai la mia posizione su Gerusalemme. Questa è la mia linea rossa», rimarcava re Abdallah.

Sempre nel 2019, servizi segreti occidentali – non specificati dal Washington Post – riferiscono che Sharif Hassan (un membro della famiglia reale implicato nella cospirazione) incontra due funzionari di un’ambasciata straniera ad Amman (per l’intelligence sarebbe quella degli Stati Uniti) per sondare la disponibilità di un appoggio al principe Hamzah come alternativa al regnante Abdallah. Dal rapporto investigativo giordano si apprende che Hamzah comincia a prendere contatti con i potenti capi tribali giordani, appoggiato dal saudita Mohammed Bin Salman.

Intanto gli Accordi di Abramo vanno in porto e nel 2020 gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein normalizzano i rapporti con Israele. L’ex ministro giordano Awadullah confida ad ex agenti della Cia che MBS è infuriato «perché non può giungere a un accordo» in quanto la questione di Al Aqsa «è un ostacolo» e il re di Giordania continua ad usarla «per intimorirci e mantenere il suo potere in Medio Oriente». Nelle settimane di transizione tra l’amministrazione Trump e quella del nuovo presidente statunitense Joe Biden, l’attivismo non si ferma. Giungiamo ai primi mesi del 2021: mentre la Giordania è in piena pandemia Covid, Hamzah partecipa ad oltre 30 incontri con i capi tribù. Le autorità di governo, messe ormai in allerta, decidono di intervenire e il 3 aprile scattano gli arresti. A differenza degli altri, il principe Hamzah non finisce in prigione ma ai domiciliari, sotto la custodia del re e fratellastro.

Per quanto riguarda il ruolo di Israele, i suoi servizi di sicurezza – il Mossad e lo Shin Bet – secondo il Washington Post fanno sapere al monarca giordano di non essere direttamente coinvolti, lasciando semmai intendere che lo è il premier in carica, Benjamin Netanyahu.

Con le prime mosse di politica estera del nuovo presidente Usa Joe Biden l’atmosfera cambia. Il monarca giordano Abdallah sarà il primo sovrano arabo ad essere ricevuto a Washington in luglio. Mohammed bin Salman, invece, aspetta ancora un invito dalla Casa Bianca.

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Francesco D'Assisi

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