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Le israeliane che non si arrendono

Manuela Borraccino
20 maggio 2021
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Una catena di pace formata la sera del 19 maggio a Gerusalemme da donne ebree ed arabe israeliane è tra le iniziative della società civile per dire no alla violenza. «Non ci fermeremo finché non raggiungeremo un accordo» è lo slogan del movimento Women Wage Peace, nato nel 2014.


Si sono date appuntamento ieri sera, 19 maggio 2021, nei pressi delle mura di Gerusalemme per riaffermare che esistono decine di migliaia di israeliane che rifiutano con forza questa ennesima guerra: «Siamo tutti in piedi, arabi ed ebrei, religiosi e laici, giovani e vecchi, donne e uomini – si leggeva sui loro cartelli – in collaborazione con molte organizzazioni e abbiamo detto in silenzio, ma con voce grossa: “Insieme per la speranza. Insieme per la pace. Insieme per la sicurezza”. Insieme abbiamo capito che ogni madre, araba o ebrea, con noi e con i nostri vicini vuole un futuro sicuro per i suoi figli, un futuro che si possa realizzare solo se ci sediamo e ci parliamo con retta intenzione e rispetto». Women Wage Peace («Le donne fanno la pace», un nome nato da un gioco di parole sull’espressione to wage war ovvero «fare la guerra» – ndr) è un movimento a-partitico di donne ebree, arabe e druse cresciuto marcia dopo marcia dalla fondazione nell’estate del 2014, subito dopo l’operazione Margine di protezione condotta dall’esercito israeliano a Gaza, fino a contare oggi 45mila attiviste. «Continueremo a promuovere raduni in tutto il Paese contro queste operazioni militari, anche recenti, che non hanno ottenuto assolutamente nulla e hanno dimostrato l’assurdità di ricorrere a soluzioni militari per risolvere problemi sociali e politici» affermano le promotrici.

«Nonostante tutto, no alla disperazione»

L’organizzazione aveva presentato nel 2019 alla Knesset un disegno di legge dal titolo Prima le alternative politiche e ha ottenuto nel 2020 il riconoscimento di organizzazione non governativa con status “consultivo” ( Advisory status ) alle Nazioni Unite. Lo scorso 24 marzo era tornata a perorare, in un incontro organizzato al Palazzo di Vetro di New York dalla Commissione Onu sullo status delle donne (Commission on the Status of Women, Csw), la piena applicazione della Risoluzione 1325 su Donne, Pace e sicurezza sul coinvolgimento femminile nei negoziati di pace. «Nel luglio 2014 donne provenienti da tutto il Paese, ebree ed arabe, religiose e laiche, avvertirono che era impossibile andare avanti senza un accordo con i palestinesi. Oggi, sette anni dopo – ricordano – mentre stiamo preparando una conferenza di pace regionale guidata da donne, ci troviamo al punto di partenza: ancora una volta la violenza fra arabi ed ebrei è esplosa a Gaza ed in molte parti del Paese. Come tanti di voi, anche noi siamo sull’orlo della disperazione. Tuttavia, come donne determinate a fare la pace, ci rifiutiamo di abbandonare la speranza, o i nostri obiettivi, o la collaborazione con tutte le componenti della popolazione israeliana. Oggi più che mai scegliamo di agire per porre fine alla volenza, allo spargimento di sangue, alla distruzione e alla devastazione. Continuiamo a lavorare per una coesistenza pacifica, e per iniziare dei negoziati che porteranno ad un accordo politico, pace e prosperità».

Verso un vertice internazionale guidato da donne

Per costruire un movimento il più trasversale e inclusivo possibile e per non alienarsi il sostegno delle israeliane residenti nelle colonie in Cisgiordania, in questi anni le attiviste di Women Wage Peace hanno evitato di sollevare direttamente il tema della fine dell’occupazione, dando per scontato che questo sia l’obiettivo dei negoziati. Lo scorso 15 febbraio hanno chiuso con successo una raccolta fondi internazionale con la quale hanno ottenuto dai sostenitori oltre un milione di shekel (l’equivalente di 252mila euro) per organizzare entro la fine del 2021, Covid-19 permettendo, una Conferenza regionale di pace con leader politici di tutto il mondo.

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