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Rivlin al tramonto, la successione è un’incognita

Giorgio Bernardelli
19 aprile 2021
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In Israele l'imminente fine del mandato del presidente Reuven Rivlin e l'elezione del successore sono un elemento che potrebbe pesare molto sull'esito della crisi politica: se Benjamin Netanyahu non riuscisse a formare un nuovo governo potrebbe essere tentato di accettare la carica.


Nell’infinito dopo-elezioni che in Israele dura ormai da due anni e mezzo Benjamin Netanyahu sta provando ancora a mettere insieme i numeri per formare una maggioranza di governo. Ma anche stavolta – come noto – il voto del 23 marzo questi numeri non glieli ha dati. Così lui e i suoi alleati della destra cercano disperatamente una soluzione entro il 4 maggio, data in cui scade l’incarico assegnatogli palesemente controvoglia dal presidente Reuven Rivlin.

Constatato che Gideon Sa’ar con i suoi 6 deputati non ha intenzione di ritornare all’ovile del Likud e che l’appoggio esterno dei 4 deputati del partito arabo di matrice islamista Ra’am è impercorribile per il veto dei nazionalisti religiosi (altrettanto indispensabili), l’ultima idea messa sul tavolo sarebbe quella di cambiare con un blitz la legge elettorale per reintrodurre l’elezione diretta del premier. Mossa piuttosto ardita, perché nessuno a destra vorrebbe rischiare di perdere seggi: così l’accordo tra Likud, partiti religiosi e Bennett sarebbe quello di far indire le quinte elezioni solo per l’elezione del premier, mantenendo invece congelati i risultati del voto del mese scorso per la composizione della Knesset. Soluzione su misura per Netanyahu, ma è difficile che passi. Nel parlamento israeliano oggi ci sono 61 deputati su 120 apparentemente uniti su un’unica idea: mai più Bibi premier. Non si vede perché dovrebbero votare una riforma elettorale del genere, se fino a oggi hanno rifiutato tante «generose» offerte per dare i voti necessari a formare il governo.

Lo scenario più probabile, dunque, è che il 4 maggio Rivlin non conceda i quindici giorni di tempi supplementari a Netanyahu e la palla ritorni nelle sue mani. Anche perché il presidente ha un motivo in più per non tergiversare: la crisi politica di Israele sta per andando pericolosamente a intrecciarsi con la fine del suo mandato.

Rivlin – il decimo presidente nei 73 anni di storia di Israele – è infatti in carica dal 24 luglio 2014. E la legge israeliana è molto precisa nello stabilire che il mandato del presidente dura sette anni e non è rinnovabile. Specifica inoltre che la Knesset deve riunirsi per l’elezione del successore tra i 90 e i 30 giorni prima della fine del mandato. Entro la metà di giugno, dunque. Almeno in questo caso la procedura di scelta sarà rapida: i 120 deputati votano a scrutinio segreto e se nessun candidato raggiunge la maggioranza si va a un ballottaggio tra i due più votati. Si tratta di un sistema che – in assenza di maggioranze blindate – è aperto alle sorprese. Del resto già nel 2014, pur essendo un esponente del Likud, Rivlin non era affatto il candidato di Netanyahu: il premier dovette subire per equilibri interni l’elezione di quel rappresentante della vecchia guardia del partito così difficile da controllare. E non si sbagliava: in questi anni Rivlin è stato l’unico vero antagonista di Netanyahu nella vita politica israeliana. Clamoroso – per esempio – fu il gesto simbolico con cui, chiamato a controfirmare la contestata legge su Israele Stato-nazione degli ebrei (atto cui per i suoi doveri istituzionali non poteva sottrarsi) lo fece in arabo, sconfessando così nei fatti l’articolo del provvedimento che toglieva all’arabo il rango di lingua ufficiale di Israele.

In una società sempre più frammentata e con Netanyahu che ha puntato su queste divisioni per rimanere a galla, Rivlin è stato costantemente una voce di unità in Israele. E proprio la crisi, con le ripetute elezioni che si susseguono ormai dal 2019, ha fatto crescere un ruolo che fino a Shimon Peres, in realtà, in Israele era sempre stata una figura poco più che simbolica.

Rivlin – che durante il settennato ha vissuto il lutto dell’amatissima moglie Nechama – ha già acquistato una nuova casa a Gerusalemme a King David Street dove si trasferirà alla fine del mandato. «Visto il grande futuro politico che ho ancora davanti – ha scherzato l’ottantunenne capo dello Stato – avrò bisogno di un luogo dove consultarmi coi miei nipoti». Prima di andarci, però, non sembra intenzionato a lasciarsi tirare per la giacchetta. A sorpresa a inizio mese ha voluto che le sue consultazioni fossero trasmesse in streaming e tutti in Israele hanno potuto vedere la franchezza con cui ha ribattuto agli interlocutori. E quando si è trovato con Netanyahu come esponente politico più suggerito per l’incarico di governo ma senza una maggioranza parlamentare, ha detto espressamente che gli assegnava il mandato solo perché la legge glielo imponeva. «Essendo molti nel Paese contrari all’incarico a un politico che si trova sotto processo – ha spiegato – avrei preferito demandare al parlamento questa scelta».

La fine del settennato di Rivlin e l’elezione del successore sono un elemento rimasto finora sotto traccia in Israele; ma potrebbe pesare molto sull’esito della crisi. Il presidente uscente vorrebbe chiudere la partita prima dell’elezione del successore, fosse anche con la decisione di rimandare il Paese per la quinta volta alle urne constatata l’assenza di una maggioranza. Ma anche le forze politiche israeliane sanno che la casella del capo dello Stato può diventare una carta importante da giocare nelle trattative per il governo. E – se tutti gli altri tentativi dovessero andare a vuoto – Netanyahu stesso potrebbe essere tentato di accettare di cedere lo scettro del governo a un altro esponente della destra, in cambio dell’elezione a presidente.

Leggi qui un articolo de The Times of Israel sulla fine del mandato di Rivlin

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