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Pellegrino di pace

Giuseppe Caffulli
22 marzo 2021
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Pellegrino di pace
7 marzo, papa Francesco a Qaraqosh, dove ha incontrato una comunità cristiana particolarmente provata dalla persecuzione del sedicente Stato islamico. (foto Ansa/Alessandro Di Meo)

Nelle tre intense giornate trascorse in Iraq il Papa ha testimoniato la sua vicinanza alle comunità locali, denunciato terrorismo e violenze contro le minoranze religiose, rilanciato il dialogo con l’Islam nel segno della fraternità e della pace. Un viaggio per molti versi storico.


Alcune immagini resteranno indelebilmente impresse negli occhi e nel cuore, a proposito del viaggio di Papa Francesco in Iraq: le imponenti misure di sicurezza, la magnificenza monumentale del Palazzo presidenziale a Baghdad (retaggio del regime di Saddam Hussein), la visita all’ayatollah al-Sistani, l’incontro interreligioso presso la Piana di Ur dei Caldei, la preghiera per le vittime della guerra a Mosul, nella Piana di Ninive, l’incontro con i cristiani a Qaraqosh e la celebrazione a Erbil, presso lo stadio, con tanta gente arrivata a incontrare il «pellegrino di pace».

Seppur nell’incertezza determinata della pandemia e dai rischi legati alla sicurezza in un Paese ancora segnato da violenza e terrorismo, papa Francesco ha inteso indicare un percorso preciso, nel segno del Documento di Abu Dhabi sulla fratellanza umana e dell’enciclica Fratelli tutti. Soprattutto nell’incontro interreligioso a Ur, patria del comune padre Abramo, ha invitato gli uomini di fede a guardare nuovamente oltre l’immanente. Con l’invito a tornare a «contemplare il cielo», dove «dopo millenni appaiono le medesime stelle. Esse illuminano le notti più scure perché brillano insieme. Il cielo ci dona così un messaggio di unità: l’Altissimo sopra di noi ci invita a non separarci mai dal fratello che sta accanto a noi».

Ricapitolare le tappe di questo «storico viaggio» aiuta a cogliere ancora più nel profondo la sua portata. Dopo l’incontro con il premier Mustafa al-Kadhimi presso l’aeroporto della capitale, il Pontefice si è trasferito al Palazzo presidenziale di Baghdad per la cerimonia di benvenuto e l’incontro con il presidente Barham Salih. Il Santo Padre ha chiesto la fine di «violenze, estremismi, fazioni e intolleranze», perché dopo guerre e pandemia il futuro del Paese sia costruito sui diritti garantiti a tutti i cittadini.

Nella cattedrale siro-cattolica Nostra Signora della Salvezza, luogo simbolo della Chiesa irachena, bersaglio il 31 ottobre 2010 di un sanguinoso attentato in cui rimasero uccisi 48 fedeli, attorno al Papa si sono stretti vescovi, sacerdoti, religiosi, catechisti, guidati dal patriarca di Antiochia dei Siri Ignace Youssif III Younan e dal cardinale Louis Raphael Sako, patriarca caldeo di Baghdad. Centrale, per Bergoglio, il tema dei martiri: «Siamo riuniti in questa cattedrale, benedetti dal sangue dei nostri fratelli e sorelle che qui hanno pagato il prezzo estremo della loro fedeltà al Signore e alla sua Chiesa. Possa il ricordo del loro sacrificio ispirarci a rinnovare la nostra fiducia nella forza della Croce e del suo messaggio salvifico di perdono, riconciliazione e rinascita. Il cristiano, infatti, è chiamato a testimoniare l’amore di Cristo ovunque e in ogni tempo. Questo è il Vangelo da proclamare e incarnare anche in questo amato Paese».

La seconda giornata, sabato 6 marzo, è iniziata con la visita privata a Najaf (culla dell’Islam sciita) all’ayatollah Ali al-Husaymi al-Sistani. L’incontro, riferisce una dichiarazione della Sala stampa della Santa Sede, è durato circa quarantacinque minuti ed è stato un confronto tra due uomini di profonda spiritualità sulle sfide attuali dell’umanità, sul ruolo della fede in Dio e sull’impegno per la promozione dei più alti valori morali. Nelle considerazioni di Sistani hanno trovato spazio anche il tema della povertà, della persecuzione religiosa e intellettuale, dell’assenza di giustizia sociale – in particolare nei contesti di guerre – della paralisi economica e del fenomeno della diaspora che colpisce molti popoli della regione.

Del ruolo delle religioni nella costruzione della pace il Papa ha parlato anche a Ur dei Caldei, dove ha incontrato i rappresentanti cristiani, musulmani sunniti e sciiti, mandei e yazidi. E ha ribadito una volta di più l’urgenza che «la religione debba servire la causa della pace e dell’unità tra tutti i figli di Dio».

«Da questo luogo sorgivo di fede – ha affermato Papa Francesco –, dalla terra del nostro padre Abramo, affermiamo che Dio è misericordioso e che l’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello. Ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione. E noi credenti non possiamo tacere quando il terrorismo abusa della religione. Anzi, sta a noi dissolvere con chiarezza i fraintendimenti».

La mattina della domenica è stata segnata da un lungo pellegrinaggio nel dolore e nelle ferite della comunità cristiana della Piana di Ninive. Poco dopo il saluto alle autorità religiose e civili presso l’aeroporto di Erbil, Francesco si è recato in elicottero a Mosul, territorio occupato sette anni fa dalle forze del sedicente Stato islamico presso Hosh al-Bieaa (piazza della Chiesa), ha elevato a Dio una preghiera di suffragio per le vittime della guerra. Accorate le parole del Pontefice: «Se Dio è il Dio della vita – e lo è –, a noi non è lecito uccidere i fratelli nel suo nome. Se Dio è il Dio della pace – e lo è –, a noi non è lecito fare la guerra nel suo nome. Se Dio è il Dio dell’amore – e lo è –, a noi non è lecito odiare i fratelli».

Ancora in elicottero si è trasferito a Qaraqosh (Baghdeda, come è chiamata in aramaico), il più grande insediamento cristiano della piana di Ninive. Nella Chiesa dell’Immacolata Concezione ha recitato l’Angelus. E ha incoraggiato i cristiani in diaspora a tornare nella propria terra: «Anche in mezzo alle devastazioni del terrorismo e della guerra, possiamo vedere, con gli occhi della fede, il trionfo della vita sulla morte. Avete davanti a voi l’esempio dei vostri padri e delle vostre madri nella fede, che hanno adorato e lodato Dio in questo luogo. Hanno perseverato con ferma speranza nel loro cammino terreno, confidando in Dio che non delude mai e che sempre ci sostiene con la sua grazia. La grande eredità spirituale che ci hanno lasciato continua a vivere in voi. Abbracciate questa eredità! Questa eredità è la vostra forza! Adesso è il momento di ricostruire e ricominciare, affidandosi alla grazia di Dio, che guida le sorti di ogni uomo e di tutti i popoli. Non siete soli! La Chiesa intera vi è vicina, con la preghiera e la carità concreta. E in questa regione tanti vi hanno aperto le porte nel momento del bisogno».

La carezza di un pastore che si china sulle sofferenze dei figli e non li abbandona. Il balsamo della misericordia sulle tante ferite di chi ha sofferto in maniera inaudita. E il popolo iracheno, anche nella sua componente musulmana, ha risposto con gioia. Festosa l’accoglienza nello stadio Franso Harir di Erbil per la celebrazione finale. Commovente la partecipazione delle folle lungo le strade ad accogliere un «uomo di Dio» venuto a testimoniare il suo «atto d’amore» verso una Chiesa e un popolo troppo a lungo vittime della violenza e dei giochi di potere.

Terrasanta 2/2021
Marzo-Aprile 2021

Terrasanta 2/2021

Il sommario dei temi toccati nel numero di marzo-aprile 2021 di Terrasanta su carta. Quattordici pagine di cronache e commenti dedicate allo storico viaggio di papa Francesco in Iraq a inizio marzo. Inoltre, il consueto dossier nelle 16 pagine centrali, due nuove rubriche e tanto altro. Buona lettura!

Caraiti, gli ebrei dimenticati
Claire Riobé

Caraiti, gli ebrei dimenticati

Pregano scalzi, inginocchiati su tappeti, non riconoscono l’autorità dei rabbini, non si riuniscono in yeshivah, non vanno a pregare al Muro occidentale, ammettono le donne al culto. E soprattutto non riconosco la validità del Talmud. Chi sono dunque gli ebrei caraiti?

Il <i>Jihad</i> delle donne
Manuela Borraccino

Il Jihad delle donne

Sulla carta hanno molti diritti le donne del Medio Oriente. Ma un diritto esiste davvero solo se viene rispettato. Dall’Egitto alla Siria, parola alle attiviste che lottano per rendere le donne protagoniste.

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