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Il Custode: «Ci sarà solidarietà anche in tempi difficili»

Giuseppe Caffulli
5 giugno 2020
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Il Custode: «Ci sarà solidarietà anche in tempi difficili»
Il Custode di Terra Santa, fra Francesco Patton, nel convento di San Salvatore

L'impatto della pandemia sulla vita dei cristiani in Terra Santa, la sospensione dei pellegrinaggi, il rinvio della colletta del Venerdì Santo. Alcune riflessioni di padre Francesco Patton, che illustra i problemi e indica segni di speranza in questo tempo particolare.


Dalla fine di maggio, con gradualità, i fedeli hanno potuto tornare a far visita ai santuari della Terra Santa, per settimane rimasti chiusi a causa dell’emergenza sanitaria. «Per noi è stato un momento molto importante – racconta padre Francesco Patton, in una lunga intervista del 27 maggio sulle reti sociali della Fondazione Terra Santa –. Alcuni, come il santuario del Getsemani nell’Orto degli ulivi, o la basilica di Nazaret, costruita su due livelli, per le loro caratteristiche hanno potuto rimanere accessibili a chi desiderava pregare, pur con le giuste precauzioni. Ma è stato importante poter dire che il Santo Sepolcro è riaperto. Come luogo della resurrezione del Signore, esso ha un valore in più, dal punto di vista della speranza che può offrire in un tempo di pandemia come questo».

Quali sono stati i suoi sentimenti in queste settimane di chiusura?
Almeno per me, è stato doloroso durante la Settimana Santa dover presiedere le celebrazioni senza concorso di popolo. Abbiamo fatto la Via Crucis del Venerdì Santo ridotti al minimo, ma il nostro impegno è stato di dire che continuiamo a essere presenti. Siamo una comunità internazionale, rappresentiamo qui tutta l’umanità, quindi in qualche modo ci siamo fatti pellegrini noi al posto dei pellegrini e abbiamo chiesto al Signore per tutta l’umanità la guarigione degli ammalati, il sostegno per chi cura, la fine della pandemia. E anche un po’ di saggezza, per i pastori e per i governanti.

Fino all’inizio di febbraio tutto lasciava presagire un’altra stagione ricca di pellegrini come è stato il 2019…
Poi improvvisamente questa doccia fredda! Gerusalemme senza pellegrini si vive con un certo senso di malinconia. Nelle nostre previsioni, il 2020 doveva superare perfino i 2019 che è stato un anno eccezionale. Avevamo superato le 600 mila prenotazioni per le celebrazioni nei santuari. Questo è venuto a mancare.

Nei giorni di Pasqua aveva lanciato l’idea del pellegrinaggio di preghiera. Qual è stata l’accoglienza di questa proposta?
Credo che sia stata ben accolta. Si è coniugata anche con la possibilità offerta da internet e dalle Tv di vivere almeno un frammento di pellegrinaggio attraverso la trasmissione delle celebrazioni. Tante persone hanno desiderato unirsi a noi nella preghiera. Il pellegrinaggio della preghiera vuol dire anche questo: collocarsi idealmente in un determinato posto e poi, magari, riprendere in mano il Vangelo che racconta l’episodio collocato in quel luogo e pregare.

Questa chiusura ha toccato pesantemente anche i cristiani in Israele e nei Territori palestinesi. Tutte le Chiese locali si sono adoperate per venire incontro alle necessità economiche delle famiglie…
La situazione è diversa in Israele e in Palestina. In Israele ci sono forme di aiuto simili alla cassa integrazione; in Palestina, invece, il problema è più grave perché c’è il vincolo di dare due mesi di stipendio, ma dopo non esiste una forma di cassa integrazione.
Abbiamo cercato di garantire questo ai nostri dipendenti: passata l’emergenza, torneranno normalmente a lavorare. Bisogna dare certezze a chi lavora.
Le parrocchie sono state molto attive sul territorio, in particolare con i pacchi alimentari. Mi è piaciuta molto un’iniziativa della parrocchia di Gerusalemme dove il parroco, lasciandosi ispirare dal brano di Elia e della vedova di Sarepta di Sidone, ha proposto ai parrocchiani di istituire un fondo di carità, chiedendo loro di devolvere tre shekel, meno di un euro, al giorno per aiutare i poveri. Un centinaio di famiglie hanno aderito e si è messa in moto una forma di carità interna alla parrocchia. È una bella iniziativa perché siamo abituati a pensare che la Terra Santa viva di aiuti dall’esterno e questa volta proprio la parrocchia madre di Gerusalemme ha dimostrato che ci sono anche aiuti dall’interno. È un segno di speranza.

Quali altre iniziative saranno necessarie?
Dovremo cercare di rimettere in moto la realtà del pellegrinaggio per poter garantire, soprattutto ai cristiani della zona di Betlemme, la possibilità di tornare a lavorare nell’accoglienza e nell’accompagnamento dei pellegrini. Serve dare un sostegno particolare alle scuole in Palestina, che sono a Betlemme e a Gerico. Hanno meno risorse delle scuole in Israele e le famiglie non riescono a pagare le rette. Fortunatamente le nostre scuole hanno funzionato, perché si sono subito attivate per praticare la didattica a distanza.

Il coronavirus ha rappresentato ovunque un risveglio brusco rispetto al limite che l’uomo ha. Ci eravamo illusi che fossimo invincibili. Questo sentimento comune di una fragilità ha toccato anche la riflessione a livello ecumenico e interreligioso?
Sicuramente. Veniamo da una stagione in cui c’era una forma di delirio di onnipotenza, con l’idea che la scienza fosse in grado di risolvere tutto. Dobbiamo evitare anche il disprezzo della scienza, perché la medicina ci aiuta a uscire dalla pandemia. Penso inoltre al sacrificio di tanti medici e infermieri. Ma certamente prima c’era un sentimento come al tempo della costruzione della torre di Babele: arriviamo fino al cielo, non abbiamo più bisogno di Dio. Invece di Dio abbiamo bisogno, eccome, e la stessa pandemia ci riporta a quello che è il senso della fragilità creaturale. Questa esperienza costituisce un minimo comune denominatore fra le tre grandi religioni abramitiche, perché tutti quanti crediamo in un Dio creatore. Il racconto di creazione della Bibbia che accomuna noi agli ebrei è all’80 per cento condiviso anche dal racconto di creazione del Corano.
Questo bisogno di rivolgersi a Dio per recuperare la giusta dimensione di quello che siamo come uomini, sapendo che l’onnipotente è un altro, ha permesso di fare iniziative comuni, anche di preghiera.
A livello ecumenico abbiamo vissuto momenti in sintonia, ad esempio nel gestire i santuari maggiori con i greci e gli armeni. C’è stata collaborazione sul piano delle opere, perché le Chiese in Terra Santa gestiscono ospedali, oltre alle scuole. In Terrasanta nelle nostre classi ci sono cristiani di tutte le denominazioni e almeno metà degli studenti sono musulmani. Quindi la dimensione ecumenica e interreligiosa si è rivelata in varie dimensioni.

La colletta del Venerdì Santo è stata posticipata. Perché è stata riprogrammata scegliendo la data del 13 settembre?
Papa Francesco si è ben reso conto che era impossibile che la colletta si svolgesse il Venerdì Santo e si è deciso di spostarla alla domenica più vicina alla festa dell’esaltazione della Santa Croce. Questa festa cade il 14 settembre ed è legata a un’altra festa tipica di Gerusalemme che celebriamo in maggio, la festa del Ritrovamento della vera Croce da parte di sant’Elena. Sono feste legate alla fondazione della basilica del Santo Sepolcro. Spostare a settembre una data così significativa vuol dire ricordare a tutto il mondo l’importanza che ha la Chiesa di Gerusalemme e dare la possibilità ai cristiani di tutto il mondo di aiutare i cristiani di Terra Santa attraverso la Custodia.

Lei invierà messaggi in varie lingue a tutte le Chiese perché serve tornare a occuparci della Chiesa madre di Gerusalemme, dei santuari e delle comunità cristiane, anche attraverso gli aiuti economici. Sarà un appello a vivere un’estate di animazione legata al tema della Terra Santa.
Sì, un’estate di solidarietà. Sono ben consapevole che per il coronavirus l’economia delle famiglie è messa a dura prova e lo sarà in futuro. Ma sono convinto che la solidarietà che sempre i cristiani hanno manifestato nei confronti della Terra Santa, anche in tempi difficilissimi, continuerà ad esserci. La Provvidenza divina non verrà meno. È importante nel corso dell’estate ricordare l’appuntamento della colletta pro Terra Sancta del 13 settembre. E invitare ciascuno – come dice san Paolo nella seconda lettera ai Corinti – a dare secondo quella che è la misura del proprio cuore. Quindi non ci sono forzature. Nel vangelo di Marco, Gesù indica come esempio non i ricchi che versavano molto o che versavano una parte minima dei loro beni, ma indica la vedova, che aveva versato un po’ di spiccioli, ciò che aveva.

Dove vanno a finire i soldi che vengono dati in aiuto alla Terra Santa?
Permettono questa missione: ci aiutano a tenere aperti i santuari, a sostenere la fede dei pellegrini, ma danno anche possibilità di lavoro ai cristiani locali. Aiutano le scuole, che sono una quindicina e con più di diecimila studenti, le opere caritative che la Custodia porta avanti nel territorio della Terra Santa in senso stretto, ma anche in Libano e in Siria, dove la pandemia si assomma a dieci anni di guerra, con conseguenze disastrose.

Riguardo al ritorno dei pellegrini, che cosa prevede nei prossimi mesi?
Tra luglio e agosto ci renderemo conto di come evolve la situazione, sapremo quali voli aerei verranno ripristinati, con quali frequenze e quali modalità. Prevedo che per la fine dell’anno cominceranno a tornare i pellegrini. Molti verranno anche con uno spirito nuovo, proprio per dire grazie al Signore di essere passati attraverso questa esperienza della pandemia.
Non dimentichiamo che in passato spesso il pellegrinaggio veniva fatto per un voto. Ecco, oggi penso che questa idea del voto, inteso come gesto di gratitudine nei confronti del Signore, possa ancora essere valida come motivazione per un pellegrinaggio.
Credo che torneremo a un po’ di normalità all’inizio dell’anno prossimo. Come numeri mi auguro di raggiungere almeno i livelli del 2016. Non erano alti, ma sufficienti per dare lavoro alla gente e permettere alle famiglie di vivere con dignità.

 

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