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Armi per il Medio Oriente, un “made in Italy” letale

Francesco Pistocchini
19 giugno 2020
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Armi per il Medio Oriente, un “made in Italy” letale

L’export italiano di armamenti solleva diverse questioni, specialmente perché ha il Medio Oriente e il Nord Africa tra le destinazioni privilegiate. Le molte facce del «problema Egitto».


Mille polemiche sono seguite alla liberazione di Silvia Romano, nel maggio scorso, per la quale sarebbe stato pagato un riscatto ai suoi sequestratori, terroristi islamici di un Paese – la Somalia – lacerato da trent’anni di violenza. Si è anche detto che i fondi usati per liberare la cooperante italiana, rimasta 537 giorni nelle mani dei rapitori, avrebbero finanziato l’acquisto di nuove armi.

Volendo considerare valida questa ipotesi, si tratterebbe di qualche milione di euro. Di ben altra entità è il commercio ufficiale di armi prodotte in Italia e dirette verso aree instabili e lacerate da conflitti, vendute a regimi repressivi, alcuni dei quali in Nord Africa e Medio Oriente. Tema tornato con forza al centro del dibattito per la notizia che l’Italia intende vendere due fregate all’Egitto.

Un mercato inarrestabile

Acquisti e vendite di sistemi d’arma non si sono interrotti nemmeno durante la pandemia, come ha osservato il coordinatore nazionale della Rete italiana per il disarmo, Francesco Vignarca. Il settore della difesa non è si è fermato perché le aziende sono state libere di continuare la produzione.

Oltre a essere il dodicesimo Paese al mondo per le spese militari (dati Sipri e Iiss per il 2019), l’Italia è il decimo esportatore di armamenti. Il governo manda ogni anno al Parlamento un rapporto pubblico sulle esportazioni militari italiane, come prevede la legge 185/1990, e così è possibile conoscere i dati ufficiali sugli acquirenti.

Nel 2019 le aziende italiane (al primo posto, Leonardo spa) hanno esportato armi per oltre 5 miliardi di euro (precisamente 5.174 milioni), per due terzi fuori dall’Unione Europea e dalla Nato. In particolare, nel 2017 e 2018, quasi metà dell’export riguardava Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa; nel 2016 era stato ben il 59 per cento.

La tabella riporta la classifica dei primi clienti di armi italiane in questa regione negli ultimi anni.

Nel 2016 il valore globale delle licenze aveva raggiunto livelli record, grazie alla fornitura al Kuwait di 28 aerei da difesa multiruolo Eurofighter Typhoon (oltre 7 miliardi di euro). Nel 2017 è stata la volta del Qatar, che ha raggiunto la vetta in classifica tra i clienti grazie a un maxicontratto di oltre 4 miliardi di euro per sette navi militari. Nel 2018, invece, non ci sono stati contratti sopra il miliardo di euro, ma il Qatar è rimasto il primo acquirente.

Largo all’Egitto!

Nel quadro dei rapporti stretti tra il Made in Italy militare italiano, Medio Oriente e Nord Africa, sta emergendo l’Egitto, Paese chiave della regione, che sale nella classifica del 2019. L’Egitto del presidente Abdel Fattah al-Sisi, e dei servizi implicati nelle torture e nell’assassinio di Giulio Regeni, ha avuto il maggior numero di licenze (871,7 milioni per 32 elicotteri). Al secondo posto si trova il Paese più antidemocratico dell’Asia centrale, il Turkmenistan, con licenze per 446 milioni. Ma nella top-10 dei clienti di armi italiane nel 2019 c’è anche l’Algeria, Paese gestito da militari.

La recente autorizzazione del governo a vendere all’Egitto due navi da guerra è, perciò, nella scia di un rapporto consolidato. Si tratta di fregate multiruolo Fremm (fregate europee multi-missione), lunghe quasi 150 metri, dotate di sistemi missilistici antiaerei e sistemi lanciarazzi, oltre a numerose altre dotazioni.

Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa, ha spiegato a Rainews 24 che «l’esportazione all’Egitto delle due fregate, originariamente destinate alla Marina militare italiana è, secondo diverse e autorevoli fonti di stampa nazionale ed estera, solo una parte di un più ampio affare militare in trattativa tra Roma e il Cairo». Si tratterebbe di un contratto tra i 9 e gli 11 miliardi che include altre quattro fregate missilistiche, 20 pattugliatori, 24 caccia multiruolo Eurofighter Typhoon, 24 aerei addestratori M-346, nonché un satellite di osservazione. Se le notizie fossero confermate sarebbe un affare con pochi precedenti.

Non c’è stato finora sulla questione un passaggio parlamentare. L’opposizione a questo affare si è levata, più che in ambienti politici, nella società civile. La famiglia Regeni si è sentita un’altra volta tradita. Ma i problemi che pone l’Egitto non si limitano alla mancata collaborazione nel fare giustizia per l’omicidio brutale di un ricercatore, cittadino italiano.

Altre questioni sul tappeto riguardano i diritti umani, il trattato sulle armi, la guerra in Yemen, la Libia.

In barba alle leggi

La legge 185/1990 vieta la vendita di armi verso Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’Ue o del Consiglio d’Europa. Due risoluzioni del Parlamento europeo denunciano ampiamente le violazioni dei diritti umani in Egitto. Nel nome della lotta al terrorismo, le carceri egiziane sono piene di prigionieri politici e pacifici dissidenti. Tra loro, Patrick George Zaki, studente di 27 anni dell’Università di Bologna, arrestato il 7 febbraio e mai più rilasciato. Un caso, conosciuto in Italia, fra tanti arresti arbitrari o sparizioni.

A livello internazionale, dal 2014 il commercio di armi è regolato dal trattato Att (Arms Trade Treaty), oltre che da varie normative, ma l’Egitto non ha firmato questo trattato. Non ha, perciò, assunto alcun impegno a osservarne le norme e non ci sono garanzie sull’utilizzo, la diversione e il traffico di armi.

Sempre la legge 185 vieta la vendita «verso Paesi in stato di conflitto armato» e l’Egitto fa parte della coalizione saudita che, senza mandato internazionale, dal 2015 combatte in Yemen. Nel più povero dei Paesi arabi, sono morte per la guerra ancora in corso almeno 21 mila persone (dato Uppsala Conflict Data Program). Oltre all’Egitto, fino a luglio 2019 sono state autorizzate vendite di armamenti italiani (bombe per aerei e missili) agli Emirati Arabi Uniti e alla stessa Arabia Saudita, leader della coalizione. Il Parlamento europeo aveva chiesto di interrompere le forniture già nel 2016, nel frattempo l’Italia aveva consegnato quasi 200 milioni di euro di armi all’Arabia Saudita (tra cui le bombe prodotte da Rwm Italia) e 190 milioni agli Emirati Arabi, più altre forniture a Kuwait e Bahrein.

Infine, la Libia del dopo Gheddafi, uno Stato «fallito» dove più fazioni si combattono, ma dove ancora nel 2018 abbiamo acquistato il 12 per cento del petrolio e il 10 per cento del gas naturale. L’Egitto in Libia ha sostenuto a lungo il generale Khalifa Haftar, oppositore del governo di Tripoli riconosciuto dall’Italia, contro il quale ha combattuto fino alle recenti sconfitte. Roma ha perciò venduto armi a un Paese con interessi opposti ai suoi.

Nel caos libico si sono di recente inseriti con successo altri due nuovi attori, la Turchia e la Russia, che hanno di fatto estromesso l’Italia dalla più complessa partita geopolitica ai nostri confini. Se in Italia il bilancio militare (in crescita) del 2019 ha superato i 25 miliardi, paiono spese in un certo senso mal riposte.


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