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Se il coronavirus diventa una opportunità per l’Isis

Giuseppe Caffulli
6 aprile 2020
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Se il coronavirus diventa una opportunità per l’Isis
Militanti dell'Isis. Hanno definito il Covid-19 una punizione divina contro i pagani.

La pandemia di Covid-19 è sfruttata dall’organizzazione terroristica a fini di propaganda e come occasione per incitare ad azioni terroristiche in Occidente.


Il contagio del Covid-19 in tutto il mondo e in Medio Oriente in particolare, sta sollevando una questione non da poco. I governi, di fronte all’eventualità di rivolte sociali vere e proprie (per esempio qualche giorni fa, a Tripoli del Libano, il rischio è divenuto realtà), hanno dato direttive alle agenzie d’intelligence nazionali e alle forze dell’ordine di adoperarsi nella prevenzione dei disordini causati dalle ripercussioni economiche o di contrastare episodi di criminalità connessi alla recessione. Il che pone qualche interrogativo circa l’impatto che la pandemia sta avendo sulla lotta al terrorismo, Isis in testa.

La questione è sollevata in maniera puntuale in un intervento di Ahmed Kamel Al-Beheiri, apparso il 26 marzo scorso sul settimanale egiziano Al-Ahram. L’analista, esperto di terrorismo, fa notare come la pandemia abbia «inevitabilmente portato a un relativo declino nei livelli di sicurezza e nei servizi d’intelligence focalizzati al contrasto dello Stato islamico. Un fatto che potrebbe offrire la possibilità all’organizzazione si rinnovarsi e riorganizzarsi, specialmente in Siria e Iraq». Ma nei Paesi dell’Africa subsahariana, dove il virus si sta diffondendo in maniera subdola e spesso lontano dai riflettori dei media.

Per comprendere come l’Isis abbia sfruttato da subito il Covid-19 come molla propagandistica, basta registrare quanto riportava Naba, l’organo di stampa dell’organizzazione terroristica, il 20 gennaio. Il giornale si «rallegrava» in sostanza, definendo il virus «manifestazione dell’ira di Dio contro le società pagane nel mondo». Una posizione non dissimile da quella di molti «integralisti» nostrani, dove ovviamente il termine «pagane» sta per «non musulmane». L’invito è conseguente: pentirsi e rifugiarsi nelle braccia dell’Islam (che l’Isis si arroga di rappresentare) per preservarsi dal contagio.

Gli strali di fine gennaio – fa notare Al-Beheiri – sono stati poi in parte rettificati. I musulmani si sono rivelati tutt’altro che esenti dal contagio. Anche per loro, ha spiegato Naba in un numero successivo, servono norme igieniche di base, come protezioni per le vie respiratorie, lavaggio mani, quarantena per gli infetti, ecc. Insomma, il virus si diffonde per volere di Dio, ma gli uomini, nel propagarsi del contagio, hanno comunque una gran parte.

Oltre a spingere sul tasto fideista per assoldare nuovi adepti, l’Isis starebbe usando tutti i suoi canali informativi e social (soprattutto nel dark web) per esortare i suoi seguaci a «realizzare attacchi contro i Paesi europei». In un articolo intitolato Il peggior incubo dei crociati, Naba (n. 226, 19 marzo 2020), registra appunto una minor attenzione delle agenzie di sicurezza occidentali nei confronti dell’Isis e delle sue strategie terroristiche proprio a causa dell’attuale preoccupazione il coronavirus. «Il che – spiega Al-Beheiri – offre un’opportunità per gli adepti dell’organizzazione di mettere a segno azioni mortali specialmente Parigi, Londra e Bruxelles. Questo esplicito incitamento alla violenza terroristica, che identifica potenziali bersagli, dovrebbe innalzare il livello di allerta, soprattutto in Europa».

In sostanza, ed è uno dei tragici paradossi dei nostri tempi, uno degli effetti collaterali del dramma del coronavirus potrebbe essere quello di restituirci rinfrancato nella struttura, nell’organizzazione e nel numero di aderenti lo Stato islamico, forse troppo frettolosamente dato per spacciato.

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