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Noi comboniane, vicine alle ferite di questi popoli

Giulia Ceccutti
20 marzo 2020
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Noi comboniane, vicine alle ferite di questi popoli
La missionaria comboniana suor Alicia Vacas in una foto scattata a Betania nel gennaio 2020. (foto Mazur/cbcew.org.uk)

Sul limitare di Gerusalemme Est vive e opera una piccola comunità di missionarie comboniane. Suor Alicia Vacas ripercorre con noi le tappe del loro impegno.


Presenza. È una delle parole più usate da suor Alicia Vacas, responsabile della provincia per il Medio Oriente delle suore comboniane, in Terra Santa dal 2008.

La religiosa abita nella Betania divisa dal muro di separazione israeliano insieme a un piccolo gruppo di sorelle. Con loro porta avanti un lavoro su più fronti, primo fra tutti quello con gli accampamenti dei beduini Jahalin nel deserto di Giuda, a pochi chilometri da Gerusalemme.

Quello di suor Alicia è un punto di vista privilegiato perché incrocia mondi diversi, che appartengono sia alla società palestinese sia a quella israeliana. È inoltre la prospettiva di un’infermiera, che vive da anni nel mondo arabo (prima in Egitto, poi in Palestina, Israele e Giordania): «Il servizio come infermiera mi ha sempre permesso di entrare in relazione immediata con persone di fedi e culture diverse in modo profondo, perché quotidianamente a contatto con situazioni che toccano la vita, la morte, il dolore, il senso ultimo delle cose… Mi è stato donato di toccare letteralmente con mano le ferite di questi popoli. Un dono per cui sono infinitamente grata».

Il lavoro con i beduini

Chiediamo a suor Alicia di raccontarci innanzitutto della presenza comboniana tra i beduini musulmani Jahalin del deserto di Giuda. La loro è una storia di marginalizzazione, demolizioni, deportazioni forzate. Ci spiega che i primi contatti con questi gruppi – tra cui non c’era alcuna presenza della Chiesa – avvennero nel 2008, attraverso l’organizzazione israeliana Rabbini per i diritti umani, i quali conoscevano bene alcuni accampamenti per averli sostenuti negli anni precedenti. «Da subito è emersa – racconta – la preoccupazione dei beduini per l’educazione dei figli. Le scuole erano molto lontane e i problemi logistici per raggiungerle generavano un alto tasso di abbandoni precoci del percorso scolastico».

Le sorelle hanno iniziato così a collaborare con l’organizzazione italiana Vento di terra nella costruzione della nota scuola di gomme (nel villaggio di Khan Al Ahmar) e, in seguito, della scuola di bambù (a Wadi Abu Hindi). Su richiesta delle stesse famiglie, hanno poi avviato l’apertura di piccole scuole materne nei diversi accampamenti, formando giovani donne beduine come maestre. Attualmente, vi sono otto di questi piccoli asili distribuiti nel deserto, e due nuovi accampamenti apriranno la scuola dell’infanzia nel settembre 2020.

Con il tempo, sono emersi altri bisogni, cui si è cercato di dare risposta attraverso progetti nell’ambito della salute e della formazione professionale della donna. «Ma soprattutto, in questi dieci anni di percorso insieme – conclude Alicia – si è instaurata una relazione di assoluta fiducia, stima reciproca e familiarità. È l’aspetto più incoraggiante: l’esperienza di fratellanza universale, sia con i beduini Jahalin che con i collaboratori e attivisti israeliani con cui lavoriamo».

Nonviolenza e solidarietà

Di fronte alla richiesta di uno sguardo positivo sui principali cambiamenti cui ha assistito, in Terra Santa, dal 2008 a oggi, suor Alicia non ha dubbi: «Ho visto crescere la presenza e la forza di gruppi di resistenza nonviolenta in diverse parti della Palestina. Interi villaggi hanno preso coscienza della validità di questa proposta alternativa e trovato appoggio internazionale alle loro rivendicazioni». Un esempio? L’accampamento beduino di Khan Al Ahmar. «Senza la resistenza pacifica della comunità beduina e il sostegno di organizzazioni locali (palestinesi e israeliane) e internazionali, la scuola di gomme e l’intero villaggio sarebbero stati demoliti molti anni fa. Invece sono ancora in piedi, ma non solo: nella scuola cresce ogni anno il numero di studenti e si trovano spazi alternativi per continuare le attività educative».

Le iniziative di solidarietà e denuncia non mancano neppure sul versante ebraico: suor Alicia cita, tra gli altri, i gruppi di sostegno ai beduini Jahalin sorti perfino all’interno degli insediamenti. E commenta: «Sono semi di speranza che dobbiamo custodire e coltivare con impegno e pazienza».

Manca un passaggio di testimone

Una svolta negativa sembra invece riguardare l’attivismo “storico”: «Mi sembra – osserva suor Alicia – che molti storici attivisti che avevano vissuto con passione la stagione degli Accordi di Oslo (nei primi anni Novanta del secolo scorso – ndr) e creduto che una pace giusta e duratura fosse possibile, sono oggi scoraggiati e delusi, di fronte alle nuove svolte della politica israeliana e internazionale». Le nuove generazioni di attivisti, continua, «sono più attratte da altre cause (ecologia, gender…) e manca un vero ricambio generazionale tra quanti lavorano per una risoluzione giusta del conflitto».

Benché la realtà sia ogni giorno più difficile, suor Alicia e le sue sorelle continuano ad aprire vie di dialogo e collaborazione. Spesso semplicemente attraverso la loro presenza.

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