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La dignità violata delle donne arabo-israeliane

Giulia Ceccutti
7 gennaio 2020
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La dignità violata delle donne arabo-israeliane
Una manifestazione contro la violenza sulle donne organizzata a Lod nel 2018.

Anche in Israele restano alti i livelli di violenza e discriminazione contro le donne arabe. La società e le istituzioni non fanno ancora abbastanza per affermare la parità di genere.


Alti tassi di disoccupazione, discriminazione nell’ambito del mercato del lavoro, divorzi e matrimoni precoci. E poi violenza domestica, delitti «d’onore» e un diffuso atteggiamento patriarcale. Sono i principali, drammatici, problemi che interessano un numero crescente di donne arabe israeliane, e in particolare di quelle che vivono nelle città con popolazione mista arabo-ebraica.

Le bambine e le donne arabe di queste città «devono affrontare sfide uniche», spiega l’attivista arabo-israeliana Samah Salaime Egbariya, «perché la maggior parte della popolazione è ebrea e la maggioranza dei servizi è progettata per la popolazione ebraica». «Un numero sempre più alto di donne arabe – soggiunge –, specialmente musulmane, deve superare enormi ostacoli sul lavoro, a scuola e negli spazi pubblici condivisi. La società ebraica sta diventando infatti sempre più intollerante verso i cittadini non ebrei. L’incitamento alla violenza e al razzismo sta purtroppo crescendo in questo Paese».

Samah – tutta grinta e determinazione – è una delle voci più appassionate e note in Israele per il suo impegno contro la violenza sulle donne arabe israeliane e a favore della parità di genere. Assistente sociale, collaboratrice fissa di alcune testate nazionali tra cui Haaretz, nel 2015 ha vinto un importante premio per i diritti umani, il New Israel Fund Human Rights Award.

Violenza e pregiudizi, dati allarmanti

Secondo i dati della polizia israeliana, quasi il 50 per cento dei femminicidi registrati nel 2019 in Israele è stato commesso all’interno della comunità araba. Questa – va ricordato – rappresenta circa il 20 per cento della popolazione. Di più: il 40 per cento dei crimini avvenuti nello Stato ebraico si è verificato nelle città miste di Ramleh, Lod e Jaffa, e nella quindicina di cittadine arabe situate intorno a Umm el-Fahm, Tira e Taybeh.

Posta a circa trenta chilometri da Tel Aviv, Lod ad esempio è oggi uno dei centri più pericolosi di Israele, con un tasso di criminalità decisamente più alto della media nazionale.

Ancora, secondo i dati della polizia, più del 70 per cento degli omicidi commessi all’interno della comunità araba in Israele non è mai stato perseguito, e i crimini sono seguiti da processi la metà delle volte che tra gli ebrei israeliani. Inoltre, quasi tre quarti dei casi di aggressione a donne arabe resta irrisolto, mentre la totalità dei casi all’interno della società ebraica è stata risolta, e i colpevoli sono stati portati in tribunale.

Chiediamo a Samah quale sia la posizione delle autorità. «La polizia israeliana sostiene che, secondo la cultura araba, i problemi delle donne dovrebbero essere risolti a porte chiuse e all’interno della struttura familiare. Considera inoltre i casi di omicidio come qualcosa che è accettato in quanto parte della cultura araba. Gli stereotipi e i pregiudizi delle forze dell’ordine sulla cultura araba le hanno spesso sollevate dalla loro responsabilità nel far rispettare la legge».

D’altro canto, quando una donna araba presenta una denuncia contro il marito o il fratello alla polizia israeliana, viene spesso vista come una traditrice della propria comunità: si ritiene che questo gesto porti disonore e vergogna alla famiglia.

Infine, «i pochi servizi a disposizione delle donne arabe spesso non soddisfano le loro esigenze, perché si basano su false concezioni della loro cultura». Samah cita un esempio: in alcuni casi, quando le donne hanno sporto denuncia al sistema di polizia, sono state mandate in strutture protette, per poi tornare a casa ed essere uccise. Di conseguenza, molte preferiscono tacere sulle loro sofferenze.

C’è chi dice no

Uno scenario decisamente preoccupante, contro cui si batte una parte della società civile israeliana, che negli ultimi anni ha organizzato manifestazioni pubbliche molto partecipate. In prima linea è l’associazione Naa’m – Arab Women in the Center, che ha sede a Lod.

L’associazione – fondata nel 2009 dalla stessa Samah – opera, attraverso una serie di programmi, su diversi fronti, che vanno dal supporto psicologico alle ragazze nella delicata fase dell’inizio dell’adolescenza al Women’s Rights Center, centro che aiuta madri single e donne dalle difficili condizioni familiari nell’accesso ai loro diritti, quali la previdenza sociale, gli alloggi pubblici, i servizi comunali, la consulenza legale. L’attività dell’associazione spazia inoltre dal lavoro di una piccola cooperativa di ricami tradizionali palestinesi, che fornisce alle collaboratrici un’indipendenza economica, all’attività di lobbying alla Knesset. Quest’ultima consiste nel tenere monitorata la legislazione e le discussioni del Parlamento nei settori dell’istruzione, del welfare, del lavoro e dell’edilizia abitativa. In attesa che cambi qualcosa, a cominciare dalla politica.

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