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Scene di vita ebraica in Europa tra il 1939 e il ’45

Christophe Lafontaine
3 ottobre 2019
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Scene di vita ebraica in Europa tra il 1939 e il ’45
Istantanea di una riunione della famiglia Majer, di Belgrado, nel 1935. Diciannove di queste persone furono vittime dell'Olocausto (foto: Archivio fotografico Yad Vashem)

Il memoriale dello Yad Vashem, di Gerusalemme, ha allestito una mostra online in occasione dell'ottantesimo anniversario dallo scoppio della Seconda guerra mondiale. Presenta scorci di vita di 12 famiglie ebraiche in Europa dal 1939 alla Shoah.


Il primo settembre 1939, la Germania nazista invase la Polonia, causando l’entrata in guerra, il 3 settembre, del Regno Unito e successivamente della Francia, che si portarono dietro i loro imperi coloniali. A ottant’anni di distanza, il memoriale dell’Olocausto, Yad Vashem, ha pubblicato nelle pagine elettroniche del suo sito una nuova mostra virtuale che ripercorre una dozzina di storie di famiglie ebree di tutta Europa alla vigilia di una guerra, di cui non potevano immaginare le proporzioni. «Questa mostra racconta il sentimento dominante della popolazione ebraica sull’orlo di un futuro sconosciuto, che sfocerà nello sterminio di sei milioni di ebrei e nell’annientamento di secoli di vita ebraica in Europa», recita un comunicato stampa dello Yad Vashem. Considerando che «nel 1939, gli ebrei vivevano una vita dinamica, diversificata, ricca e attiva in tutta Europa. Hanno cresciuto famiglie, hanno fatto affari, hanno sognato e progettato, amato e pianto. Ciò che gli ebrei non potevano sapere è che il normale corso della loro vita quotidiana sarebbe presto brutalmente annientato», spiega in dettaglio un video del memoriale dell’Olocausto che commenta l’evento.

«Ottant’anni dopo, è ancora difficile capire l’enorme divario tra la vita ebraica pre-bellica e il suo tragico destino durante l’Olocausto», osserva la ricercatrice e curatrice della mostra online, Yona Kobo. Tutte insieme, continua, «vediamo famiglie provenienti da Jugoslavia, Germania, Austria, Polonia, Romania, Grecia e Cecoslovacchia nei momenti più belli della loro vita – matrimoni, nascite e altri eventi gioiosi – ma anche alla ricerca di una via d’uscita, lottando per far fronte al deteriorarsi delle loro vite quotidiane».

Non è un caso che sei delle opere di Felix Nussbaum (1904-1944), un pittore ebreo tedesco, siano riprodotte in questa mostra. Membro della prestigiosa Accademia delle Arti di Berlino, Nussbaum si renderà presto conto che non c’è futuro per gli ebrei in Germania. I suoi dipinti dal 1939 al 1941 (ritratto, autoritratto, paesaggio, scene di vita, natura morta) illustrano i suoi sentimenti di paura e desolazione, la sua posizione di uomo in clandestinità o l’impotenza della cultura per salvarlo. Sarà caricato il 31 luglio 1944 sull’ultimo convoglio per Auschwitz in partenza dal Belgio.

La mostra si basa anche su lettere e cartoline, estratti di diari, poesie, inviti a nozze. Testi che combinano tedesco, polacco, ebraico, yiddish o ladino… Immagini di feste e bar mitzvah, disegni e oggetti personali completano la collezione esposta. Tutti queste testimonianze del periodo dell’Olocausto furono donate in perpetuo allo Yad Vashem dai sopravvissuti e sono conservate negli archivi del Memoriale.

«All’improvviso il cielo si oscura»

Percorrendo le sezioni della mostra online, il visitatore scopre la vita quotidiana all’inizio della guerra tra gli Zabludowski a Varsavia, in Polonia. «Il problema che affrontiamo nel settembre del 1939 è come trovare il pane. Dopo aver aspettato invano cinque ore nelle panetterie e nei negozi di dolciumi, tornammo a casa con due teste di cavolo, ognuna delle quali ci è costata uno zloty», scriveva Mira Zabludowski il 18 settembre 1939 in un diario redatto durante i primi mesi dell’occupazione mentre era in visita ai suoi genitori. «Siamo in fila nonostante i bombardamenti, perché un posto in coda è prezioso quanto la vita stessa». Mira riuscì a lasciare la Polonia alla fine di novembre dello stesso anno, senza immaginare che non avrebbe più rivisto il padre e la madre.

Emblematica anche la storia di Lazar-Eliezer Kasorla e Karolina Daniel che si sposano il 15 febbraio 1939 a Salonicco, in Grecia. Meno di cinque anni dopo, i due sposi e la maggior parte degli invitati al matrimonio moriranno ad Auschwitz.

Accanto ai Finke in Germania, ci sono i Beck – sparsi tra Vienna e il Kent, in Inghilterra – la polacca Jula Piotrkowski, che vede il suo fidanzato emigrare in Palestina nel 1939, e che verrà inviata con sua madre nel ghetto di Lodz, ben consapevole di quello che sarà il loro destino. La mostra – dal sottotitolo esplicito, Improvvisamente il cielo si oscura – restituisce i giorni della spensieratezza della famiglia Majer di Belgrado (in Jugoslavia, oggi Serbia) che si lascia alle spalle la testimonianza di una grande famiglia felice. Il rabbino Refael e sua moglie Rivka hanno avuto otto figli, che hanno dato loro diversi nipoti. Una foto scattata nel 1935 illustra una riunione di famiglia. Delle 21 persone elencate, una è morta prima della guerra, altre 19 sono state assassinate durante l’Olocausto. In realtà, con l’occupazione di Belgrado da parte dei tedeschi, i Majer non compresero i rischi che stavano correndo. I più anziani ricordavano che i tedeschi si erano comportati bene durante la Prima guerra mondiale e dissero: «Ce la faremo anche stavolta». Meno di un anno dopo l’invasione tedesca, il 90 per cento degli ebrei di Belgrado furono spazzati via.

Le storie narrate nella mostra includono quelle dei bambini che lasciarono il territorio del Reich nel 1939 a bordo di Kindertransport per raggiungere l’Inghilterra. I bambini sopravvissero, le loro famiglie furono assassinate. È il caso di Anna Nussbaum, cresciuta a Vienna. Dopo la Notte dei cristalli e una serie di incidenti per la famiglia (arresto, espulsione da scuola, …), il padre di Anna decide di mandarla in Irlanda per unirsi a sua sorella. Alla stazione, per vincere la sua resistenza a partire, il padre le compra una spilla. È l’ultimo suo regalo. Poco tempo dopo i genitori di Anna vengono deportati e assassinati. Finita la guerra, Anna Nussbaum emigra nella Palestina mandataria, approda al Kibbutz Ein Hashofet e si sposa. Sulla prima pagina di un libro che Anna ha portato con sé in Irlanda, suo padre ha scritto una dedica: «I fiori appassiscono, ma l’amore di un padre fiorisce sempre. Vienna 9.1.1939»

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