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Quanto è fragile la roccaforte russa in Siria

Fulvio Scaglione
2 ottobre 2019
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La vittoria militare in Siria ha consegnato alla Russia un grande peso specifico nel marasma mediorientale. Ma sono arrivate anche le responsabilità, in particolare per quanto riguarda la ricostruzione del Paese. Mosca da sola non basta...


L’intervento del 2015 in Siria, di cui ricorre in questi giorni il quarto anniversario, è diventato nel tempo un dilemma quasi esistenziale per la Russia di Vladimir Putin. In poche parole, l’aspetto militare e strategico rischia di confliggere con quello politico ed economico. Ecco come.

Dal punto di vista militare non c’è dubbio: l’esercito russo, in Siria, ha conseguito una vittoria strategica, ha accumulato esperienza in un combattimento lontano dai confini nazionali e ha costruito le strutture per una presenza militare massiccia e prolungata nel tempo. Si è molto parlato, in passato, della base navale russa di Tartus, la cui conservazione era addirittura indicata come una delle ragioni dell’intervento stesso. In realtà, fino al 2015, a Tartus i russi disponevano solo di un molo per scali tecnici. La base vera c’è adesso, grazie ai lavori realizzati in questi anni. Il pescaggio del porto è stato aumentato. I moli sono stati ampliati fino a poter ospitare 11 navi da guerra, tra cui una a propulsione nucleare. E il 15 ottobre sarà inaugurato un nuovo cantiere navale di 2.100 metri quadrati in cui potranno trovare spazio due sommergibili equipaggiati con missili da crociera. Per non parlare dell’ampliamento dell’aeroporto di Khmeimim, delle forniture di sistemi antimissile al presidente Bashar al-Assad e, paradossalmente, anche alla Turchia di Recep Tayyip Erdoğan.

Su questo aspetto c’è poco da discutere. Ma per il resto? La vittoria militare ha consegnato alla Russia un grande peso specifico all’interno del marasma mediorientale. Ma con il peso sono arrivate anche le responsabilità, in particolare per quanto riguarda la ricostruzione della Siria. Come abbiamo notato in queste stesse pagine, rimettere in piedi il Paese è un’impresa immane. La Russia da sola non ce la può fare e forse nemmeno lo vuol fare. Putin può contare sul consenso e sulla partecipazione delle imprese statali, ma non è una novità che il settore privato dell’industria russa prema da tempo per un ammorbidimento del contrasto con l’Occidente, obiettivo che quasi necessariamente porta con sé il ridimensionamento del sostegno russo ad Assad.

Fino ad ora il Cremlino è riuscito a conservare un delicato equilibrio tra le pressioni contrapposte di Siria, Israele, Stati Uniti, Turchia e Iran. Ma quanto potrà durare? È facile prevedere che prima o poi Putin dovrà scegliere: accontentare Assad (e così rafforzare anche la propria posizione in Siria) o trovare un compromesso con tutti gli altri (alleggerendo così la propria posizione internazionale e riducendo la propria esposizione economica). Finché in Siria si combatte, Putin non è costretto a scegliere. Ma quando la vittoria sarà definitiva…

Ne va dell’interesse della Russia e del destino di Assad, ovviamente. Ma più ancora, ed è ciò che conta, delle speranze dei siriani.


 

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Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com

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