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Altri sei mesi per il villaggio di Khan al-Ahmar

Guillaume Genet
20 giugno 2019
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Altri sei mesi per il villaggio di Khan al-Ahmar
Una delle molte manifestazioni di resistenza degli abitanti di Khan al-Ahmar contro le ruspe israliane. (foto Wisam Hashlamoun/Flash90)

Il governo israeliano rinvia al dicembre 2019 l'evacuazione forzata dei 180 beduini di Khan al-Ahmar (Territori Palestinesi), il villaggio che sorge ai margini della strada che da Gerusalemme scende verso Gerico.


È un rinvio di breve durata, ma senza dubbio prezioso per i beduini di Khan al-Ahmar. La distruzione del piccolo villaggio di circa 180 abitanti da parte degli israeliani era prevista per questo mese di giugno, ma il governo di Israele ha comunicato all’Alta Corte di Giustizia che gli sgomberi forzati non avranno luogo fino alla metà del prossimo dicembre. Non è il primo rinvio dallo scorso 21 ottobre: il primo ministro Benjamin Netanyahu aveva già escluso lo sgombero del villaggio, spiegando di voler «consentire ai negoziati (con gli abitanti) di arrivare a un’evacuazione volontaria». Stanziati in Cisgiordania (Territori Palestinesi) in prossimità dell’autostrada 1 che a est di Gerusalemme collega la Città Santa a Gerico, questi beduini appartengono alla tribù dei jahalin. Originari di Tel Arad, nel sud di Israele, i membri del clan furono espulsi da quella zona nel 1951 e si stabilirono in un territorio all’epoca sotto la sovranità della Giordania. Dal 2009 gli abitanti del villaggio sono impegnati in una resistenza pacifica agli ordini di demolizione. L’Alta Corte di Giustizia israeliana, tuttavia, ha respinto le loro petizioni a fine maggio 2018 e confermato gli ordini di demolizione, dando allo Stato di Israele la libertà di scegliere il momento in cui eseguirli. L’annuncio dello Stato di Israele concede agli abitanti di Khan al-Ahmar ancora sei mesi, pur confermando come inevitabile la demolizione. «È la nostra politica e sarà messa in atto», ha ribadito Netanyahu.

In attesa delle elezioni e del nuovo governo

Gli elettori israeliani torneranno a votare nuovamente per il Parlamento nel prossimo settembre. Netanyahu vuole attendere la formazione del nuovo governo, se sarà ancora premier, per firmare l’ordine di smantellamento del villaggio beduino. «Il momento dell’espulsione sarà determinato dal governo, tenendo conto di tutte le considerazioni necessarie», ha affermato.

La decisione del primo ministro fa seguito a una petizione presentata dall’organizzazione di destra Regavim, che ha chiesto alla Corte di ordinare al governo di giustificare il suo rifiuto di eseguire l’ordine di demolizione del villaggio beduino e di fissare un calendario per la deportazione dei suoi abitanti. Yakin Zik, direttore delle operazioni di Regavim, reputa che questo caso sia la spia di un problema molto più grande: «Khan al-Ahmar sta testando la volontà del governo israeliano di reagire al progetto dell’Autorità Palestinese di prendere il controllo degli spazi aperti della Giudea e della Samaria», ha detto.

Reagendo alle richieste di Regavim, lo Stato ha chiesto all’Alta Corte di dargli tempo fino al 16 dicembre 2019 per presentare le proprie giustificazioni, sostenendo che il futuro governo, una volta formato, avrà bisogno di tempo per elaborare la propria decisione.

Lo scorso ottobre, la Commissione Giustizia e Pace dell’Assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa aveva già puntato il dito contro la decisione di smantellare il villaggio, osservando che «molte di queste persone, già sfollate dopo la guerra del 1948, si vedono ancora una volta violentemente sradicate per far posto agli insediamenti illegali israeliani».

I risvolti geostrategici nel contesto israelo-palestinese

Oltre alla questione sociale legata all’esistenza di Khan al-Ahmar, c’è anche una componente decisamente più politica. Il campo beduino è infatti situato nella zona C della Cisgiordania, sotto il pieno controllo amministrativo e di sicurezza delle forze armate di Israele. L’agglomerato è situato tra gli insediamenti israeliani di Ma’aleh Adumim e di Kfar Adumim. La distruzione del villaggio, secondo i suoi difensori, consentirebbe di collegare tra di loro i due insediamenti appena citati. Se dovesse davvero essere realizzata, la congiunzione finirebbe per tagliare fuori parte della Cisgiordania e dei suoi abitanti dai quartieri orientali di Gerusalemme, rendendo difficile creare un nuovo Stato di Palestina con almeno una parte di Gerusalemme come sua capitale.

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