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Fra Jallouf: Nella sacca di Idlib aspettiamo la pace, per ricostruire

Terrasanta.net
21 maggio 2019
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Fra Jallouf: Nella sacca di Idlib aspettiamo la pace, per ricostruire
Fra Hanna Jallouf, francescano della Custodia di Terra Santa in Siria.

Dalla Siria, fra Hanna Jallouf, parroco francescano di alcuni villaggi nel governatorato di Idlib dà voce alle attese di pace. Nel bel mezzo di quella che potrebbe essere la battaglia finale tra le forze in campo.


(g.s.) – Knayeh è un piccolo paese nella valle del fiume Oronte. È situato una quarantina di chilometri a ovest della città di Idlib, capoluogo dell’omonimo governatorato, e poco distante dal confine con la Turchia.

Negli ultimi giorni nell’area di Knayeh e del vicino centro di Yacoubieh c’è una relativa calma. Nella zona, ci raccontava al telefono il parroco francescano padre Hanna Jallouf, regge per ora il cessate-il-fuoco e non piovono bombe. Ma è solo una pausa. Qui, nel nord-ovest della Siria, l’emergenza terminerà con la fine della guerra in tutto il Paese. Soltanto allora, osserva fra Hanna, potremo dedicarci a ricostruire le case danneggiate o distrutte e a sostenere chi cerca di rifarsi una vita, soprattutto i giovani.

Anche a Knayeh, e intorno alla parrocchia, sono accampati gli sfollati da altre aree più martellate dal conflitto. Si può ormai dire che siano il 60 per cento degli abitanti, secondo il frate della Custodia di Terra Santa.

«Dal 2011 ad oggi – prosegue il frate – molti se ne sono andati anche dalle nostre parrocchie. Saranno rimaste 200 famiglie delle quasi 800 che erano. È partita la maggior parte dei giovani e dei nuclei familiari con bambini. D’altronde qui mancano le scuole secondarie e l’università».

I bisogni sono molti, serve l’essenziale per garantire la sussistenza dei i civili che sono rimasti intrappolati nella sacca di Idlib. Ai frati e alla loro gente viene in soccorso la Custodia di Terra Santa, anche tramite i fondi raccolti dalla sua ong: l’associazione ATS pro Terra Sancta.

Se muoversi dentro la provincia di Idlib è relativamente agevole, restano sbarrate le vie di comunicazione con il resto della Siria. Le forze governative assediano l’ultima porzione di territorio dove, ritirata dopo ritirata, si sono asserragliate le milizie jihadiste con cui Damasco è in guerra dal 2011. Un accordo raggiunto nel settembre 2018 tra i governi di Russia e Turchia aveva rinviato la resa dei conti finale, che costerà altro dolore alla popolazione inerme. Quelle intese non reggono più e da fine aprile le forze governative, con il determinante appoggio russo, hanno rotto gli indugi e dato il via alla battaglia finale. Le operazioni militari proseguano a fasi alterne; russi e turchi continuano a negoziare (tra gli interessi della Turchia c’è lo scongiurare l’arrivo di nuove ondate di profughi entro i suoi confini), ma intanto Ankara sta nuovamente armando e foraggiando i nemici del presidente Bashar al-Assad. Secondo fonti locali, riprese dai media internazionali, gli armamenti forniti ai ribelli sarebbero di fabbricazione russa, cinese e statunitense.

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