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I bambini fantasma di Aleppo

Francesco Pistocchini
22 gennaio 2019
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I bambini fantasma di Aleppo
Un'aula scolastica abbandonata a Etarib, presso Aleppo, Siria.

Migliaia di orfani e minori abbandonati, spesso figli di combattenti jihadisti, sono una conseguenza della guerra. Ad Aleppo, il vescovo Abou Khazen dà vita a un progetto per aiutarli.


Scuole chiuse, lezioni interrotte, il diritto all’istruzione negato. Le conseguenze della guerra in Siria segnano i bambini, quelli fuggiti con le famiglie e quelli rimasti chiusi nelle abitazioni per il pericolo dei cecchini e delle bombe. Restano i traumi e i minori sono maggiormente vittime delle conseguenze che perdurano nel dopoguerra.

Ma tra di essi vi è un gruppo ancora più vulnerabile: i bambini «fantasma», bambini nati durante le occupazioni e gli assedi da donne che sono state violentate, figli visti come vergogna. Persone abbandonate che, senza colpa, sono considerate un simbolo degli orrori.

«Solo ad Aleppo sono circa duemila. È uno degli esiti di sette anni di guerra – racconta monsignor Georges Abou Khazen, vicario apostolico dei cattolici latini e francescano della Terra Santa –. Ma se fossero anche solo qualche centinaio… Vivono per strada o negli appartamenti semidistrutti».

La maggior parte di essi ha un’età compresa fra quattro e sette anni, di loro non si conosce il padre o entrambi i genitori.

Aleppo, città industriale e commerciale della Siria, lacerata al suo interno da uno dei fronti più violenti della guerra, ha vissuto tra il 2012 e il 2016 lo scontro tra forze governative e ribelli. Migliaia di aleppini sono morti e centinaia di migliaia sono fuggiti dai quartieri distrutti. Anche se il controllo della città è tornato in mano alle forze di Damasco, la vita è ancora estremamente difficile, specialmente nella zona a Est, riconquistata con l’aiuto di russi e iraniani, dove il problema di questi bambini è più acuto.

Monsignor Abou Khazen ne ha parlato l’8 novembre scorso a Milano e il 10 a Roma, ospite dell’annuale Giornata delle associazioni di volontari impegnati per la Terra Santa. «Esistono e non esistono – osserva il vescovo francescano – perché non sono registrati all’anagrafe e senza registrazione non possono essere iscritti alla scuola». Spesso sono tenuti nascosti per vergogna, per non creare scandalo. Così ai piccoli e alle madri (quando presenti) non arriva alcuna assistenza pubblica.

«Davanti a questo dramma umano i francescani non possono stare zitti», afferma. Perciò il vescovo ha avviato un’iniziativa insieme a fra Firas Lutfi e ad Ahmad Badreddin Hassoun, gran muftì di Aleppo. Nell’islam non c’è l’adozione, ma il muftì ha condotto uno studio secondo il quale, nel rispetto della religione, una famiglia musulmana può prendere a carico un bambino e tenerlo in affido fino alla maggiore età. Non trasmette in eredità il cognome o i beni, perché non consentito, tuttavia cura la crescita del minore e ne garantisce il futuro.

Ma per accogliere i piccoli, nella situazione generale di devastazione bellica, è necessario un aiuto. Il progetto si chiama Un nome e un futuro: «Un “nome” per poter essere registrati e un “futuro” per aiutarli ad avere un avvenire – spiega monsignor Abou Khazen –. Molti rischiano di essere sfruttati, e c’è il pericolo di preparare una nuova generazione di combattenti».

Il progetto è curato da Ats – Pro Terra Sancta, che si occupa della raccolta dei fondi e della realizzazione sul campo. Si vogliono raggiungere 500 famiglie, accolte in un centro predisposto, e circa altri duemila bambini (con le madri) che riceveranno assistenza al di fuori del centro. Nell’arco di un anno, saranno aperti quattro centri di accoglienza, cercando di collaborare sempre con le figure più autorevoli dei quartieri, che conoscono le situazioni, indicano i casi di maggior bisogno. La collaborazione è anche con le autorità islamiche, perché sia a tutti chiaro che si fanno azioni di carità e non proselitismo.

Monsignor Abou Khazen spiega che le tante emergenze sono state affrontate solo grazie agli aiuti dall’estero. Ora si lavora per ridare dignità alle persone e per favorire il ritorno dei moltissimi fuggiti da Aleppo (soprattutto i giovani, e tanti cristiani oggi ridotti a meno di un quarto). «Non abbiamo aiutato solo i cristiani, ma tutti i bisognosi – conclude il vescovo –. Non ci sentiamo una minoranza abbandonata e schiacciata, ma parte della grande famiglia della Chiesa».

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