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«La pace in Terra Santa affidiamola alle donne»

Nello Del Gatto
4 dicembre 2018
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«La pace in Terra Santa affidiamola alle donne»
Il dottor Izzeldin Abuelaish. (foto Hadas Parush/Flash90)

Il medico palestinese Izzeldin Abuelaish nel 2009 a Gaza perse tre figlie uccise da un colpo d'artiglieria israeliana durante l'Operazione Piombo fuso. Dice che la pace deve battere vie nuove, aperte dalle donne.


Per la pacificazione nella Terra Santa, è necessario mettere in campo la diplomazia delle donne. Izzeldin Abuelaish ne è convinto; per lui dopo anni e anni di negoziati fallimentari, tentativi più o meno significativi, è ora di cambiare strada e di affidare la risoluzione del conflitto israelo-palestinese alle donne e alle loro capacità.

Medico originario di Gaza, in Palestina, specializzato nelle terapie per l’infertilità, Izzeldin balzò tristemente agli onori delle cronache, anche internazionali, quando, nel gennaio del 2009, un carro armato israeliano, in quella che fu chiamata Operazione Piombo fuso, colpì la sua casa uccidendo tre delle sue figlie – Bessan, Mayar e Aya – che avevano rispettivamente 21, 15 e 13 anni. Izzeldin, rimasto senza moglie, a causa di un cancro, solo 4 mesi prima, nonostante la tragedia, ha pian piano ripreso a vivere, facendo del suo lavoro, ma anche della causa palestinese, la propria ragione di vita. Da diversi anni vive in Canada e lavora presso l’Università di Toronto, ma non ha mai dimenticato il suo popolo e la sua voglia di giustizia. È tornato da qualche giorno in Terra Santa, per partecipare al primo congresso internazionale sulla rimozione delle barriere alla pace in Medio Oriente, organizzato il 27 novembre scorso a Tel Aviv dal movimento Women Wage Peace  (Le donne fanno pace).

«Ci dovrebbero essere più donne coinvolte al tavolo delle trattative – ha detto il medico durante la conferenza –, perché le donne danno la vita, e quindi sanno meglio di chiunque altro cosa essa sia, e quale valore abbia. Sono sicuro che potrebbero raggiungere dei risultati laddove molti uomini hanno invece fallito sinora. Gli uomini sono guidati prevalentemente dal loro smisurato ego, hanno provato per cent’anni a trovare delle soluzioni e hanno fallito. È ora di cambiare rotta, tentare nuove vie».

In memoria delle sue figlie il medico palestinese ha creato la fondazione Daughters for life (Figlie per la vita), che si basa sull’idea che il cambiamento della società e la soluzione dei problemi del Medio Oriente passino attraverso l’educazione delle giovani donne, a cui deve essere dato maggiore spazio e maggior potere nella società e nelle istituzioni. La fondazione, proprio a questo scopo, stanzia anche delle borse di studio per donne meritevoli ma che altrimenti non potrebbero avere accesso agli studi a causa di barriere sociali o economiche. «Io ho perso tutto – ha raccontato Abuelaish – so cosa ho perso e non mi verrà più restituito. Ma come medico e come uomo di fede non mi devo arrendere, devo pensare a degli spiragli di luce, sono spinto dallo spirito dei miei cari. Lo devo a loro, devo dare loro giustizia».

Il medico palestinese vive molto all’estero, ma mantiene sempre i contatti con la famiglia e gli amici rimasti a Gaza, ed è molto preoccupato per la sua gente: «La situazione a Gaza è terribile – ha detto alla stampa al termine della conferenza – i bambini sono privati della loro fanciullezza, vivono in povertà, soffrono e sono in costante pericolo. È assurdo se si pensa che lì i ragazzi di 15 anni hanno già vissuto tre guerre». Autore, nel 2010, del libro I shall not hate (tradotto in italiano da Piemme nel 2011 con il titolo Non odierò – ndr) e vincitore di numerosi premi, Izzeldin Abuelaish oltre alle donne crede che anche i medici, se vivono la loro professione come una missione, potrebbero svolgere un ruolo fondamentale come mediatori di pace. Lui stesso, con la sua vita, è il simbolo di un ponte possibile tra i due popoli, non a caso è stato il primo palestinese ad avere un incarico fisso in un ospedale israeliano e parla molto bene anche l’ebraico. Per lui la pace è possibile e va perseguita con la diplomazia, la cultura e la lotta alla corruzione e agli interessi personalistici. Mai con la violenza, condannabile da qualsiasi parte provenga. 

«La situazione è ancora difficile – ha dichiarato – ma io sono ottimista e spero che ad un certo punto ci sarà una leadership saggia, non come quella di Benjamin Netanyahu, che riconosca i diritti del popolo palestinese, così come i palestinesi dovranno riconoscere lo Stato di Israele. Solo in questo modo si porrà fine a questa situazione di tensione e di conflitto costante».

 

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