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Il Golfo atomico

Laura Silvia Battaglia
5 dicembre 2018
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L'Arabia Saudita intende dotarsi di centrali nucleari per la produzione di energia elettrica di qui al 2030. Ben prima potrebbe dotarsi della bomba atomica se anche l'Iran dovesse fare altrettanto.


I venti di guerra – che sono delle tempeste reali e perfette in Medio Oriente – potrebbero essere alimentati da un altro pericolo, appena annunciato come una decisione assunta dal governo saudita, in forma di progetto di sviluppo.

Il principe Mohmmed bin Salman – ormai noto più come potenziale mandante del brutale omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi al consolato dell’Araba Saudita ad Istanbul che come riformatore del regno saudita – ha reso noto un ulteriore passaggio nella realizzazione del progetto Vision 2030 del governo di Riyadh: il Paese avrà un reattore nucleare e un centro di sviluppo per l’aeronautica militare e spaziale.

L’annuncio, fatto durante la visita del principe alla Città di re Abdulaziz per la scienza e la tecnologia, si inserisce in una complessa realizzazione della visione di lungo periodo del principe, che prevede sette progetti integrati sulle energie rinnovabili, l’energia atomica, la desalinizzazione dell’acqua, la medicina genetica e, infine, l’industria aereo-spaziale.

La questione, come si può immaginare, è piuttosto delicata, per via dell’annosa vicenda sullo sviluppo del potenziale nucleare iraniano, sempre contenuta e definitivamente osteggiata dai Paesi europei ma, soprattutto dagli Stati Uniti e da Israele, perché percepita come una reale minaccia nella regione. Adesso, Mohammed bin Salman, ci prova senza timori: dopo avere annunciato in marzo che il Paese poteva essere pronto a sviluppare armi nucleari, precisa che lo farebbe solo se costretto, e solo nel caso in cui l’Iran optasse per la stessa soluzione.

Con l’emittente americana Cbs Mohammed bin Salman è stato, se possibile, ancora più chiaro: «L’Arabia Saudita non vuole dotarsi di una bomba nucleare, ma lo farà senza dubbio se l’Iran la svilupperà. E lo farà al più presto possibile». Nel frattempo, e mentre gli Stati Uniti lanciano la peggiore stagione di sanzioni economiche nei confronti dell’Iran, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica si è fatta avanti e, tanto per cominciare, ha inviato ai sauditi due proposte per la costruzione di due reattori nucleari a fini di produzione energetica. Del resto, Riyadh non fa mistero di volere così produrre elettricità fino a 17.6 gigawatts entro il 2032 (pari al potenziale di 17 reattori): una decisione nata per diminuire il quantitativo di petrolio utilizzato in casa, destinandone tutta la produzione al commercio estero.

Così facendo, per il 2032, questo progetto nucleare saudita sarà il più avanzato e potente al mondo, superando di gran lunga quello del vicino Paese del Golfo, gli Emirati Arabi Uniti, che finora hanno ordinato solo quattro reattori alla Corea del Sud e sono pronti a metterli in funzione. Ovviamente, al netto di colpi di scena possibili da parte degli Stati Uniti, in questa politica energetica mediorientale due pesi-due misure a suon di reattori nucleari.


  

Perché Diwan

La parola araba, di origine probabilmente persiana, diwan significa di tutto un po’. Ma si tratta di concetti solo apparentemente lontani, in quanto tutti legati dalla comune etimologia del “radunare”, del “mettere insieme”. Così, diwan può voler dire “registro” che in poesia equivale al “canzoniere”. Dove registro significa anche l’ambiente in cui si conserva e si raduna l’insieme dei documenti utili, ad esempio, per il passaggio delle merci e per l’imposizione dei dazi, nelle dogane. Diwan, per estensione, significa anche amministrazione della cosa pubblica e, per ulteriore analogia, ministero. Diwan è anche il luogo fisico dove ci si raduna, si discute, si controllano i registri (o i canzonieri) seduti (per meglio dire, quasi distesi) comodamente per sfogliarli. Questo spiega perché diwan sia anche il divano, il luogo perfetto per rilassarsi, concentrarsi, leggere.

Questo blog vuole essere appunto un diwan: un luogo comodo dove leggere libri e canzonieri, letteratura e poesia, ma dove anche discutere di cose scomode e/o urticanti: leggi imposte, confini e blocchi fisici per uomini e merci, amministrazione e politica nel Vicino Oriente. Cominciando, conformemente all’origine della parola diwan, dall’area del Golfo, vero cuore degli appetiti regionali, che alcuni vorrebbero tutto arabo e altri continuano a chiamare “persico”.

Laura Silvia Battaglia, giornalista professionista freelance e documentarista specializzata in Medio Oriente e zone di conflitto, è nata a Catania e vive tra Milano e Sana’a (Yemen). È corrispondente da Sana’a per varie testate straniere.

Tra i media italiani, collabora con quotidiani (Avvenire, La Stampa, Il Fatto Quotidiano), reti radiofoniche (Radio Tre Mondo, Radio Popolare, Radio In Blu), televisione (TG3 – Agenda del mondo, RAI News 24), magazine (D – Repubblica delle Donne, Panorama, Donna Moderna, Jesus), testate digitali e siti web (Il Reportage, Il Caffè dei giornalisti, The Post Internazionale, Eastmagazine.eu). Cura il programma Cous Cous Tv, sulle televisioni nel mondo arabo, per TV2000.

Ha girato, autoprodotto e venduto otto video documentari. Ha vinto i premi Luchetta, Siani, Cutuli, Anello debole, Giornalisti del Mediterraneo. Insegna come docente a contratto all’Università Cattolica di Milano, alla Nicolò Cusano di Roma, al Vesalius College di Bruxelles e al Reuters Institute di Oxford. Ha scritto l’e-book Lettere da Guantanamo (Il Reportage, dicembre 2016) e, insieme a Paola Cannatella, il graphic novel La sposa yemenita (BeccoGiallo, aprile 2017).

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