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I migranti cristiani in Turchia senza assistenza religiosa

Beatrice Guarrera
15 ottobre 2018
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I migranti cristiani in Turchia senza assistenza religiosa
Monsignor Paolo Bizzeti (primo a sinistra) durante la conferenza dell'11 ottobre 2018 alla Gregoriana.

Monsignor Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell’Anatolia, parla dell’emergenza pastorale per la Chiesa cattolica in Turchia. Dai migranti nuova linfa per le comunità locali, ma manca personale religioso.


«Mancano preti, suore, formatori. I giovani profughi cristiani che sono in Turchia non hanno adeguata assistenza religiosa». Così mons. Paolo Bizzeti (71 anni), vicario apostolico dell’Anatolia parla dell’emergenza pastorale per la Chiesa cattolica in Turchia. Il vescovo gesuita, a Roma per il Sinodo dei vescovi dedicato ai giovani, è intervenuto l’11 ottobre a una conferenza all’Università Gregoriana dal titolo Crocevia e frontiere. I tanti volti della Turchia. La condizione particolare dei giovani migranti è fin dall’inizio una delle questioni più discusse nel Sinodo in corso in Vaticano ed è particolarmente sentita in Turchia, come ha riferito mons. Bizzeti. Il presule è da quasi tre anni a Iskenderun, dove è succeduto – dopo un lungo vuoto – a mons. Luigi Padovese, assassinato dal suo autista nel 2010.

Sebbene il vicariato d’Anatolia con i suoi 420 mila chilometri quadrati comprenda zone di antica presenza cristiana, oggi i cristiani sono una piccola minoranza, tra ortodossi, cattolici (lo 0,2 per cento della popolazione), e protestanti. «I cristiani rifugiati sono più numerosi dei cristiani locali – spiega mons. Bizzeti –. Integrarli sarebbe una bella occasione anche per “rinnovare” la comunità locale, un po’ statica». I nuovi arrivati provengono da Siria, Iraq, Afghanistan, Iran e da diverse zone dell’Africa, ma anche da Paesi dell’Estremo Oriente, come Corea e Filippine. «I profughi sono arrabbiati perché non capiscono come mai l’Occidente non apra le porte, visto che molti di loro hanno rischiato la vita per difendere i valori cristiani e umani, che sono anche dell’Occidente», continua il vicario d’Anatolia.

I migranti sono sparsi in varie città della Turchia e per questo, secondo mons. Bizzeti, ci vorrebbe qualcuno che andasse a visitarli periodicamente lì dove si trovano, come faceva san Paolo con le sue comunità.

Mentre i musulmani trovano assistenza nelle moschee o nelle organizzazioni islamiche, i cristiani non possono essere sostenuti adeguatamente. «In questo momento in Turchia c’è libertà di culto nei nostri ambienti, ma non abbiamo la possibilità di aprire scuole, centri giovanili, pensionati, case di accoglienza per giovani – spiega il vescovo –. Inoltre, non c’è libertà di movimento all’interno della Turchia per i rifugiati cristiani, che quindi non possono spostarsi dalla città a cui sono stati assegnati. È una situazione penalizzante».

Nonostante le difficoltà, mons. Bizzeti si spende con energia ed entusiasmo per la sua gente e si dice contento del suo ministero: «A volte sembra di vivere ai tempi degli Atti degli Apostoli: ci sono persone che si convertono, che sognano Gesù e chiedono di essere battezzati. Dall’altra parte è faticoso. Prima del mio arrivo, mancava un vescovo da cinque anni e tanti problemi amministrativo-burocratici erano rimasti fermi».

Riguardo al clima di tensione che si respira oggi e alle continue accuse di terrorismo fuori e dentro la Turchia, il vicario d’Anatolia parla del crescere di «una cultura dell’accusa reciproca», che crea l’impossibilità di riconciliazione. «C’è un genere letterario iniziato negli Stati Uniti con l’11 settembre 2001: bollare come “terroristi” interi Stati e organizzazioni. Anche i cristiani, del resto, si sono divisi terribilmente con scomuniche reciproche nel corso della storia: ricordo sempre che san Girolamo quando arrivò ad Antiochia trovò tre vescovi diversi, ognuno con il suo esercito. Tutti pretendevano di essere nel giusto. Questo fattore ha indebolito fortemente il cristianesimo del Medio Oriente».

Sul piano culturale il vicario d’Anatolia sostiene che in Turchia i temi che travagliano la coscienza della gente, religiosa e laica, sono gli stessi che circolano in Occidente: il rapporto uomo-donna, sicurezza e stabilità, esigenza di democrazia e nazionalismo, liberismo economico e welfare, fondamentalismo religioso, laicismo e laicità, spinte dittatoriali, appartenenze confessionali, nuove ricerche di senso della vita, problemi dalla bioetica, nuove tecnologie digitali. «Sul lungomare di Iskenderun vedo ragazze vestite con gli abiti tradizionali musulmani a braccetto con le loro amiche vestite all’Occidentale – racconta con ironia – ma le une e le altre hanno in mano il cellulare e stanno mandando un messaggio via Whatsapp a qualcuno».

È proprio su questi argomenti comuni che sarebbe fecondo un vero dialogo tra cristiani e musulmani. «Molti si interrogano su quale futuro costruire – osserva mons. Bizzeti – non credo nel dialogo dei convegni, ma nel dialogo della vita ordinaria. Reputo necessario ritrovarsi per pregare insieme, per impedire che il nostro mondo diversificato venga trasformato in un mondo che uccide le differenze e non rende giustizia alla fantasia e al progetto del Creatore, come ci insegna il racconto della torre di Babele (Libro della Genesi, capitolo 11)».

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