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Giordania e Israele in retromarcia

Giorgio Bernardelli
24 ottobre 2018
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Il re di Giordania ha annunciato nei giorni scorsi la volontà di riprendersi due porzioni di territorio cedute in uso, nel 1994, a Israele. Un gesto simbolico che non andrebbe sottovalutato.


La Giordania li chiama Baqoura e Ghumar, per Israele sono Naharayim e Zofar. Due fazzoletti di terra; ma quando si comincia a giocare coi nomi vuol sempre dire che c’è qualcosa che non va. E così due piccole enclave sulla sponda orientale del fiume Giordano da domenica sono diventate un caso che rischia di riportare indietro di tanti anni le lancette dell’orologio in Medio Oriente.

A innescare la crisi è stato il re di Giordania Abdallah II che – proprio domenica – ha annunciato la disdetta di uno degli allegati del Trattato di pace tra la Giordania e Israele. Va detto subito che non si tratta di un atto di forza, ma di una facoltà espressamente prevista dagli accordi: lo storico documento che stabilì le relazioni diplomatiche tra i due Paesi nell’ottobre 1994 prevedeva come segno di buona volontà un allegato per normare la situazione anomala di due zone speciali che farebbero parte del territorio giordano ma erano state sviluppate da Israele come propri territori agricoli. In pratica venivano cedute dal regno hashemita in usufrutto a Israele per un periodo di venticinque anni, con facoltà di rinnovo automatico se l’accordo non fosse stato disdetto da una delle parti con almeno un anno di anticipo. Ed è esattamente quanto il re di Giordania ha puntualmente fatto ora, rivendicando piena sovranità su Baqoura e Ghumar.

Delle due aree la prima è particolarmente significativa. Baqoura – per gli israeliani Naharayim – è infatti un’isola artificiale che si trova alla confluenza tra il Giordano e il fiume Yarmouk. Ha un significato anche storico interessante perché qui nei primi anni Trenta – prima cioè della fondazione dello Stato di Israele – l’ebreo Pinhas Rutenberg aveva ottenuto dall’allora emiro di Transgiordania Abdallah (il bisnonno dell’attuale sovrano) il permesso di impiantare una centrale elettrica. Un luogo ideale, dunque, per sognare un futuro di pace e collaborazione tra Israele e la Giordania; proprio per questo un po’ pomposamente Naharayim era stata ribattezzata dal Fondo nazionale ebraico come l’Isola della Pace, con l’intenzione di farne un parco aperto e visitabile liberamente da entrambi i popoli.

Già nel 1997 quest’idea aveva subito un duro colpo quando un soldato giordano all’improvviso proprio qui si mise a sparare all’impazzata su un gruppo di studentesse in visita al parco, compiendo una delle tante stragi che hanno insanguinato gli ultimi decenni in Medio Oriente. Neppure in quell’occasione, però, la violenza aveva avuto l’ultima parola. Nella memoria di quel fatto di sangue rimane infatti soprattutto il gesto che compì re Hussein di Giordania, il padre di Abdallah II, che si recò personalmente in Israele e chiamò una ad una le famiglie delle vittime. «Vostra figlia è come mia figlia. Il vostro dolore è il mio dolore», disse quel giorno con grande coraggio in un tempo in cui – dopo l’uccisione di Yitzhak Rabin e con Benjamin Netanyahu alla guida del suo primo governo – il processo di pace aveva già cominciato a scricchiolare sonoramente.

Adesso invece suo figlio Abdallah II sull’Isola della Pace  torna indietro, cedendo, almeno simbolicamente, alle pressioni di chi ad Amman vorrebbe la cancellazione del trattato di pace con Israele. Un gran brutto segnale che non giunge però certo inaspettato. La pace con la Giordania – come quella con l’Egitto – non è infatti una variabile indipendente in Medio Oriente: entrambi gli accordi fanno espressamente riferimento a un negoziato tra Israele e i palestinesi. Ma se quel processo di pace non c’è più e se – con la benedizione di Washington – Israele continua a compiere passi unilaterali sul futuro di Gerusalemme, anche le relazioni diplomatiche con Giordania ed Egitto sono tutt’altro che al sicuro.

Riguarda due fazzoletti di terra oggi la crisi diplomatica con la Giordania. Ma è ugualmente un campanello d’allarme che sarebbe bene prendere molto sul serio in Medio Oriente.

Clicca qui per leggere la notizia sulla disdetta dell’accordo sul sito del Jordan Times

Clicca qui per vedere la pagina dedica all’Isola della Pace sul sito del Fondo nazionale ebraico

Leggi qui l’articolo che il New York Times pubblicò l’anno scorso quando in Giordania, dopo vent’anni di reclusione, fu liberato l’autore della strage dell’Isola di pace

  


 

Perché “La Porta di Jaffa”

A dare il nome a questo blog è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto raramente.

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