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Raccordi poetici a Londra

Laura Silvia Battaglia
18 luglio 2018
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Un grande progetto culturale a Londra getta altri ponti tra la cultura, e in particolare la poesia, d'Oriente e Occidente. Sono ventiquattro i poeti coinvolti dalla Fondazione Gingko.


Se Diwan vuole dire anche raccolta poetica e se questa rubrica è fatta per unire Oriente e Occidente, non possiamo non occuparci di un evento che ha avuto grande successo a Londra, con un afflusso di pubblico eccezionale e che la politica di questi giorni – tutta concentrata sulla Brexit e sulla visita del presidente Usa Donald Trump nel Regno Unito – ha oscurato in modo immeritevole.

Si tratta di un concerto, organizzato alla Wilton’s Music Hall di Londra in occasione del lancio del memorabile progetto A New Divan della Fondazione Gingko, che celebra il bicentenario della raccolta West-Eastern di Johann Wolfgang von Goethe, risalente al 1819 ma lasciata incompleta dall’autore. In buona sostanza, ventiquattro grandi poeti principali viventi d’Oriente e Occidente (12+12) sono stati reclutati per il progetto, sponsorizzato da questa Fondazione che mira a creare un dialogo proficuo sui temi dell’arte tra Regno Unito e Medio e Vicino Oriente e che è famosa anche avere promosso altri progetti di grande rilievo, tra cui il progetto Buildings that Fill my Eye, una mostra alla Brunei Gallery a Londra nel 2017 che ha avuto più di 8mila visitatori, dedicata al patrimonio architettonico yemenita.

Il progetto A New Diwan, in collaborazione anche con il progetto Amal dell’Akademie Barenboim-Said di Berlino, consiste in una conversazione in versi ispirata alla cultura dell’«altro» che diventerà un libro nel 2019 ma che è anche un concerto itinerante, partito proprio da Londra. Attingendo a temi suggeriti dai dodici libri della pubblicazione originale di Goethe, tra cui The Poet, The Cup Bearer, The Tyrant, Love, Anger e Faith, e utilizzando le forme poetiche delle culture dei poeti che prendono parte al progetto, A New Divan sarà «una conversazione che migliora la vita in poesia», dice la Fondazione Gingko Library, nella persona della fondatrice e amministratore delegato Barbara Schwepcke.

Tra i poeti orientali incaricati di comporre i nuovi poemi, ci sono Adonis dalla Siria, Fadhil al-Azzawi dall’Iraq, Fatemeh Shams dall’Iran, Mourid Barghouti dalla Palestina, Nujoom al Ghanem dagli Emirati Arabi Uniti. Tra gli occidentali, anche l’italiana Antonella Anedda e Khaled Mattawa, scrittore libico-americano. I 24 poemi verranno tradotti in lingua inglese da altrettanti poeti provenienti principalmente dalla Gran Bretagna, ma anche dall’Irlanda, dagli Stati Uniti e dalla Nuova Zelanda. Ogni poesia apparirà nella traduzione inglese a fronte della composizione in lingua originale.

Tre coppie di saggi arricchiranno e completeranno la raccolta, proprio come nell’originale di Goethe. Tra questi, Rajmohan Gandhi su Mohammad Iqbal e la risposta dell’Oriente alla raccolta di Goethe e Robyn Creswell su L’importanza per l’Occidente di tradurre oggi la poesia orientale.

Per il lancio di questa iniziativa, la Fondazione Gingko ha dunque organizzato alla Wilton’s Music Hall una serata di musica e poesia con Tafahum, gruppo fusion contemporaneo con sede a Londra. Tafahum – organizzazione corporativa di musicisti provenienti da Siria, Canada, Giappone e Regno Unito – ha eseguito rielaborazioni di pezzi classici insieme a una nuova composizione ispirata al contributo per A New Diwan del poeta siriano Adonis intitolato Lettera a Goethe, a sua volta tradotta in inglese da Khaled Mattawa. Per Benjamin Ellin, compositore e co-fondatore britannico di Tafahum, «questo è un progetto entusiasmante ed importante perché mostra la bellezza e la collaborazione delle idee e delle arti di tutte le culture e di come possono intrecciarsi e, alla fine, unire le persone».

Almeno questo è l’obiettivo e, allo stesso tempo, il messaggio che i promotori si prefiggono, sotto l’egida del grande Hafiz, poeta persiano del XIV secolo dopo Cristo, primo ispiratore di questa iniziativa-ponte tra Oriente e Occidente.



  

Perché Diwan

La parola araba, di origine probabilmente persiana, diwan significa di tutto un po’. Ma si tratta di concetti solo apparentemente lontani, in quanto tutti legati dalla comune etimologia del “radunare”, del “mettere insieme”. Così, diwan può voler dire “registro” che in poesia equivale al “canzoniere”. Dove registro significa anche l’ambiente in cui si conserva e si raduna l’insieme dei documenti utili, ad esempio, per il passaggio delle merci e per l’imposizione dei dazi, nelle dogane. Diwan, per estensione, significa anche amministrazione della cosa pubblica e, per ulteriore analogia, ministero. Diwan è anche il luogo fisico dove ci si raduna, si discute, si controllano i registri (o i canzonieri) seduti (per meglio dire, quasi distesi) comodamente per sfogliarli. Questo spiega perché diwan sia anche il divano, il luogo perfetto per rilassarsi, concentrarsi, leggere.

Questo blog vuole essere appunto un diwan: un luogo comodo dove leggere libri e canzonieri, letteratura e poesia, ma dove anche discutere di cose scomode e/o urticanti: leggi imposte, confini e blocchi fisici per uomini e merci, amministrazione e politica nel Vicino Oriente. Cominciando, conformemente all’origine della parola diwan, dall’area del Golfo, vero cuore degli appetiti regionali, che alcuni vorrebbero tutto arabo e altri continuano a chiamare “persico”.

Laura Silvia Battaglia, giornalista professionista freelance e documentarista specializzata in Medio Oriente e zone di conflitto, è nata a Catania e vive tra Milano e Sana’a (Yemen). È corrispondente da Sana’a per varie testate straniere.

Tra i media italiani, collabora con quotidiani (Avvenire, La Stampa, Il Fatto Quotidiano), reti radiofoniche (Radio Tre Mondo, Radio Popolare, Radio In Blu), televisione (TG3 – Agenda del mondo, RAI News 24), magazine (D – Repubblica delle Donne, Panorama, Donna Moderna, Jesus), testate digitali e siti web (Il Reportage, Il Caffè dei giornalisti, The Post Internazionale, Eastmagazine.eu). Cura il programma Cous Cous Tv, sulle televisioni nel mondo arabo, per TV2000.

Ha girato, autoprodotto e venduto otto video documentari. Ha vinto i premi Luchetta, Siani, Cutuli, Anello debole, Giornalisti del Mediterraneo. Insegna come docente a contratto all’Università Cattolica di Milano, alla Nicolò Cusano di Roma, al Vesalius College di Bruxelles e al Reuters Institute di Oxford. Ha scritto l’e-book Lettere da Guantanamo (Il Reportage, dicembre 2016) e, insieme a Paola Cannatella, il graphic novel La sposa yemenita (BeccoGiallo, aprile 2017).

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