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«Ecco come la Terra Santa mi ha chiamato»

Francesco Pistocchini
28 febbraio 2018
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«Ecco come la Terra Santa mi ha chiamato»
Fra Pierpaolo Fioravanti (primo da destra) con un alcuni pellegrini a Gerusalemme.

Dall'autunno 2017 fra Pierpaolo Fioravanti è il Commissario di Terra Santa per le Marche. Una vocazione maturata nel servizio alle missioni.


Fidarsi di Dio ed essere operatori di pace»: si riassume in queste parole lo «stile» che fra Pierpaolo Fioravanti porta nel suo nuovo incarico di Commissario di Terra Santa per le Marche. «Ringrazio il Signore per ciò che fa nella mia vita – aggiunge –. È presente, ha un disegno, lo svolge lui, se ti rendi disponibile. Fidiamoci di Dio: se ci ha promesso la pace, diamoci da fare per la pace, soprattutto per la terra di Gesù, che fa più fatica a trovare la pace che il Signore è venuto a portare».

Dallo scorso autunno, dopo che il Capitolo della sua provincia religiosa gli ha affidato il nuovo incarico, fra Pierpaolo ha iniziato a impostare il lavoro con i collaboratori più vicini, padre Michele Massaccio, responsabile dell’infermeria della provincia, e padre Michele Salvatori, che è anche docente allo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, anche se diverse attività – pellegrinaggi, eventi rivolti alla Terra Santa – esiste già una programmazione avviata.

Dopo l’ordinazione nel 2003 e sei anni di esperienza a Urbino come parroco, fra Pierpaolo si è occupato delle missioni ad gentes. Ha seguito progetti in Africa e America Latina e ha avuto anche l’occasione di «incontrare» la Terra Santa in un mese di servizio trascorso con alcuni giovani a Betlemme, presso una casa per anziani nella città natale di Gesù. «Ho capito che il Signore mi aveva mandato a fare un “assaggio” di quello che poi sarebbe stata una chiamata. Quando mi hanno prospettato questo servizio come Commissario, mi è subito tornata alla mente quella esperienza, in cui mi ero sentito accolto come un fratello. Era stato l’antipasto, adesso andiamo alla pietanza!», scherza con la musicalità dell’accento che unisce l’origine marchigiana e venezuelana.

Sì, perché fra Pierpaolo è nato in Venezuela e fino a 24 anni ha vissuto in America Latina. «Sono figlio di emigranti, che mi hanno trasmesso dei valori. Però da giovane non mi ritrovavo nella Chiesa, ci eravamo allontanati e, tornato in Italia, non avevo intenzione di cambiare la mia vita». Ma il cambiamento ha preso avvio, e in un luogo preciso: il santuario mariano della Madonna dello Splendore, in Abruzzo. «Mi ero recato a Giulianova solo per la festa: sono entrato in quella chiesa come turista e ho incontrato il Santissimo. Mi colpì il contrasto di quel silenzio con il chiasso che c’era fuori. Dentro mi ha toccato qualcosa». È iniziato un cammino di conversione che è diventata vocazione religiosa, dopo anni di vita «latitante», come la definisce lui stesso.

Non solo: Dio ha chiamato insieme fra Pierpaolo e la sorella ad abbracciare la vita francescana e clariana. Infatti, nello stesso giorno di settembre 1993, in un’unica celebrazione, lui prese il saio e sua sorella Chiara Carmen l’abito delle clarisse.

Nel desiderio della consacrazione, sentiva di volere essere un fratello. Poi il padre maestro gli consigliò di continuare («intanto, studia»), per essere più attrezzato a confrontarsi con un mondo culturalmente preparato. Così, strada facendo, si è chiarita la sua chiamata, fino al sacerdozio.

Fra Pierpaolo vorrebbe far conoscere ancora di più ciò che i frati fanno in Terra Santa. Spiega che non ci si rende conto abbastanza dell’opera grande e meravigliosa che è stata affidata loro in quella Terra. «Siamo lì per conto della Chiesa, non dei frati. Il compito di custodia non è solo verso Luoghi Santi, ma anche verso le persone concrete». Da poco è tornato da un pellegrinaggio ricco di incontri, ma osserva che è mancato un contatto diretto con i cristiani dell’Oriente. Serve conoscere dai racconti diretti come i laici vivono la loro cristianità, quali problematiche affrontano, come le superano con la grazia di Dio, la preghiera e l’intervento concreto dei frati. «Vorrei questo contatto più diretto. Il nostro motto è “Pace e bene” – conclude –. A volte c’è benessere, senza pace. Ma se non c’è la pace, non ci sarà il bene, diamoci da fare!».

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