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Fra Perry: «Chiediamo pace per il popolo siriano»

Giuseppe Caffulli
14 aprile 2017
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Intervista al ministro generale dei Frati Minori, appena rientrato da una visita alle comunità francescane in Libano e Siria. Fra Michael A. Perry racconta quello che ha visto e poi riferito anche a Papa Francesco.


«Ho mostrato al Papa sul mio telefono cellulare le immagini di Aleppo, delle sue strade e case distrutte, della sofferenza della gente. Ma anche un breve videomessaggio dei giovani della parrocchia latina, che hanno rivolto al Papa il loro saluto e il loro ringraziamento per la vicinanza che il Santo Padre esprime alle sofferenze dei cristiani di Siria».

Fra Michael A. Perry, ministro generale dei Frati minori, è stato dal primo all’8 aprile scorso in Libano e Siria, in visita alle fraternità francescane di quei Paesi e alle comunità cristiane locali. L’Ordine dei Frati minori, di cui la Custodia di Terra Santa è parte, segue con particolare apprensione lo sviluppo della crisi siriana, che coinvolge pesantemente la sorte dei cristiani della regione.

Al rientro dalla Siria, insieme ai ministri generali della famiglia francescana (frati minori conventuali, cappuccini e Terz’ordine regolare) fra Perry è stato ricevuto da Papa Francesco. Tra i temi affrontati durante il colloquio, l’imminente visita del Santo Padre in Egitto (il 28 e 29 aprile), a pochi giorni di distanza dai sanguinosi attentati che hanno seminato morte (43 morti e più di 100 feriti) nel duplice attentato di Tanta e Alessandria d’Egitto.

«Il Papa è più che mai convinto di recarsi in Egitto – spiega fra Michael -. Vuole essere vicino ai cristiani in questo momento particolare. È convinto della necessità di questa visita anche come segno di vicinanza e solidarietà da parte della Chiesa cattolica verso tutta la società egiziana, perché tutti sono stati toccati dalla violenza. So che anche i frati in Egitto sono molto provati spiritualmente e psicologicamente dai fatti accaduti. È stato uno choc per tutti. Papa Francesco ha chiesto a tutta la famiglia francescana di pregare non solo per l’esito della sua visita, ma per tutte le necessità dei cristiani e del popolo egiziano. Il Papa è preoccupato per la violenza che si vive ogni giorno in Medio Oriente. Ci ha detto che è il momento per i cristiani di restare uniti e di stringersi nella preghiera per tutta la Chiesa. Ha ripetuto l’importanza della sua visita in questo momento per manifestare la sua vicinanza e per incoraggiare i cristiani a non perdere la fede e la speranza nella capacità degli uomini di cercare nuove strade per dire no alla guerra e alla violenza e recuperare la dignità di ogni persona».

L’Egitto è il luogo dell’incontro storico tra san Francesco e il Sultano Malik al-Kāmil. Quest’anno si ricordano, inoltre, gli 800 anni della presenza francescana in Terra Santa…
Certo. Il 1217 è l’anno della nascita della Provincia d’Oltremare, che segna l’inizio della presenza dei frati minori in Medio Oriente.
In autunno insieme al vicario dell’Ordine mi recherò per tre giorni in Terra Santa per partecipare a una celebrazione e a un convegno in ricordo di quell’evento, che è alle origini della nostra vocazione missionaria. Il secondo passo è la memoria del 1219-20, con la visita di san Francesco in Egitto, a Damietta. La nostra Commissione internazionale per il dialogo già da sei mesi sta lavorando per elaborare un programma. Noi non vogliamo fare una celebrazione isolata, solo a Roma o solo a Damietta. Vogliamo coinvolgere tutta la famiglia francescana in un progetto comune, che dia il senso di quell’evento. Che non deve essere uno sguardo sul passato, ma un momento capace di aiutarci a guardare avanti. Dobbiamo ripartire in sostanza dall’insegnamento di Damietta: la nostra vocazione al dialogo.

Un tema che sta certamente a cuore a Papa Francesco…
Abbiamo informato il Papa di questi nostri progetti e ha rimarcato questa nostra specifica vocazione francescana. Chissà che lui, in vista della doppia ricorrenza del 1217-1219, non voglia scrivere qualcosa in merito, soprattutto rivolgendosi alla Custodia di Terra Santa. Nel parlare della prossima visita in Egitto, come famiglia francescana gli abbiamo chiesto di sottolineare questa dimensione dell’incontro in memoria della visita di Francesco al sultano d’Egitto

Con il Santo Padre ha certamente parlato a lungo anche della Siria.
Non poteva essere altrimenti. Ho compiuto la visita in Siria insieme al padre Custode fra Francesco Patton e al ministro della Regione San Paolo fra Rachid Mistrih. Siamo partiti da Beirut. Qui abbiamo avuto la possibilità di incontrare i frati e vedere ciò che fanno per i profughi iracheni e siriani, che sono ben oltre il milione. Abbiamo parlato con il nunzio in Libano mons. Gabriele Giordano Caccia, con il quale abbiamo avuto un confronto sulla situazione dell’area.
Poi da Beirut siamo andati a Damasco, dove abbiamo incontrato i frati delle due nostre comunità e parrocchie. Abbiamo visto il servizio meraviglioso che portano avanti. Sono davvero stupito del loro impegno e del servizio che svolgono, in dialogo con i cristiani di tutte le Chiese. E poi il servizio verso le famiglie musulmane: cibo, acqua, servizi sanitari. Ma non è solo assistenza materiale: per tutti c’è uno spazio spirituale, di ascolto e accoglienza, quanto mai necessari in quel contesto di violenza.

Come ha trovato la situazione a Damasco?
Ogni 20 minuti, giorno e notte, abbiamo sentito esplosioni molto vicine… Segno che purtroppo la guerra continua e che si vive costantemente nell’insicurezza. C’è un clima psicologicamente molto pesante. Ammiro il coraggio e la determinazione dei cristiani, che non vogliono lasciare il loro Paese. Questa è una forte testimonianza cristiana.
Poi abbiamo preso la strada verso Homs, per raggiungere Aleppo. Abbiamo attraversato il Paese, villaggio dopo villaggio, in una distruzione totale.

Nella città sembra non si combatta più. Ma a sentire le agenzie umanitarie a gran parte della popolazione mancano i beni di prima necessità…
Ad Aleppo la situazione è scioccante. Ho avuto occasione nella mia vita di visitare altre zone di guerra, specialmente in Africa, ma quello che ho visto ad Aleppo supera ogni immaginazione. Non ho mai visto nulla di simile. La parte est è completamente distrutta e svuotata. Strade, case, palazzi: tutto distrutto e raso al suolo. Molta gente è in grave difficoltà: mancano le cose elementari… l’acqua, il cibo, il carburante. In questo la parrocchia latina cerca di offrire un aiuto, nel limite del possibile.

Come ha trovato i frati minori che sono rimasti in Siria?
Sia a Damasco che ad Aleppo e a Lattakia ho trovato frati con una grande fede. Ho voluto passare del tempo con loro per ascoltare e comprendere i pesi che portano sulle spalle. Il peso spirituale e il peso psicologico di una guerra che dura da sei anni e che non sembra finire. Ma ho potuto constatare che i frati sono uniti, pregano insieme e lavorano insieme, nonostante siano stanchi, provati dalla situazione e dalle urgenze quotidiane. Questa è già una testimonianza grande di speranza, un segno visibile che è possibile costruire una fraternità tra gli uomini. Poi ho ascoltato i cristiani locali, che ci hanno parlato della presenza dei frati in mezzo a loro come veri uomini di Dio, persone capaci di amore e accoglienza. Grazie a questo aiuto spirituale, in molti sono riusciti a sopportare grandi prove e sofferenze.

Cosa serve principalmente alla Siria oggi?
La prima urgenza è che cessi la violenza e che si creino spazi di sicurezza per la gente. Poi bisogna trovare una soluzione politica più duratura. Ci sono troppe tensioni a più livelli, dentro la Siria e fuori dalla Siria.
Noi come francescani stiamo cercando di mettere pressione a livello internazionale perché l’Onu prenda una decisione e si faccia carico della situazione siriana. Il popolo non può più aspettare. Penso di recarmi nei prossimi giorni in Segreteria di Stato vaticana per comunicare quanto ho visto e quanto mi hanno raccontato i frati e gli esponenti delle Chiese locali. Credo siano elementi che possono servire per stimolare le parti in gioco ad una ricerca effettiva la pace. Che è il bene più necessario per la Siria.

In questi anni di guerra, a sentire le organizzazioni umanitarie, si sono compiuti crimini contri i civili sia da una parte che dall’altra… C’è indubbiamente una responsabilità dei cristiani e degli uomini di Chiesa nei confronti della verità.
Credo che ci sia da parte dei cristiani locali una vera e propria sete di verità. Ma in questo clima di confusione nel Paese – Stato islamico, Turchia, Russia, Iran, lealisti, ribelli, jihadisti mercenari, curdi – la verità fatica a farsi strada, oscurata dagli interessi in gioco. La tensione è alta ed è difficile per chi si trova nel Paese avere un quadro preciso. Ma in ogni caso la verità dovrà uscire. Dobbiamo ascoltare i testimoni che vivono in Siria o che hanno lasciato il Paese, e che hanno vissuto l’orrore di questa guerra. Serviranno anche procedure per capire cosa è successo; chi e come ha eventualmente compiuto crimini di guerra. In questo senso la Corte penale internazionale dovrà fare i suoi passi.
Ma quello che è più importante oggi è fermare la violenza e ricostruire un minimo di sicurezza nel Paese. Una tregua vera, non un tempo per potersi riarmare, ma uno spazio per creare le condizioni di dialogo.

Prima di Natale, insieme al padre Custode, era stato diramato un appello ufficiale dell’Ordine per la pace in Siria. Pensa di ripetere questa iniziativa?
Abbiamo avuto un grande riscontro in varie parti del mondo, tra le Chiese cristiane delle varie confessioni. L’appello è stato anche portato al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Abbiamo ricevuto centinaia di e-mail da parte di comunità religiose che hanno preso sul serio il nostro appello alla pace e si sono impegnate, prima di tutto con la preghiera. Di ritorno da questo viaggio ci siamo però dati un tempo di riflessione, per vedere cosa può essere utile in questo momento. E per vedere quale messaggio condividere con il mondo.

A proposito di condivisione e testimonianza, c’è il progetto di una nuova presenza in Terra Santa.
Sì. Tra le varie iniziative allo studio delle famiglie francescane – cito per esempio il processo di unificazione nella gestione della Pontificia università Antonianum di Roma – è ormai imminente la nascita di una fraternità inter-obbedienziale in Terra Santa. Tra settembre e ottobre, alcuni frati minori e conventuali daranno avvio a questa nuova comunità, che avrà sede a Emmaus. Anche laggiù, in un contesto di particolare tensione e difficoltà come quello dei Territori palestinesi occupati, come frati francescani vogliamo metterci al servizio dei più poveri in una dimensione d’ascolto, per offrire prima di tutto una testimonianza di unità e fraternità.

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