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Gli israeliani sempre più arroccati

Terrasanta.net
31 marzo 2017
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Gli israeliani sempre più arroccati
Passanti in via Jaffa, una delle arterie principali di Gerusalemme Ovest.

Un recente sondaggio demoscopico saggia la propensione dell'opinione pubblica israeliana a un compromesso coi palestinesi per raggiungere la pace. Margini sempre più stretti.


(g.s.) – Oggi come oggi l’opinione pubblica israeliana è disposta a un eventuale accordo di pace con i palestinesi? È pronta a veder nascere uno Stato di Palestina accanto a quello di Israele? Sempre meno di qualche anno fa, stando, almeno, agli esiti di un sondaggio commissionato dal Centro di Gerusalemme per gli affari pubblici (Jerusalem Center for Public Affairs), un istituto israeliano di studi e ricerche.

L’indagine demoscopica realizzata da una sondaggista affermata, Mina Tzemach, è stata condotta via Internet su un campione di 521 persone (margine d’errore massimo: 4,4 per cento). Le risultanze sono state pubblicate il 28 marzo scorso.

Ne emerge un calo drastico di consensi rispetto all’idea del ritiro delle truppe israeliane dalla Cisgiordania e della creazione di uno Stato di Palestina, accanto a Israele. Se nel 2005 la prospettiva godeva del 60 per cento di favorevoli, ora a sostenerla è il 36 per cento degli intervistati.

Sempre meno persone sottoscriverebbero i cosiddetti Parametri di Clinton (vedi sotto) che potrebbero essere la chiave per la ricomposizione del conflitto israelo-palestinese. A inizio 2005 avallava i parametri il 59 per cento degli intervistati, oggi siamo al 29 per cento dei favorevoli.

Il 41 per cento del campione è favorevole alla suddivisione di Gerusalemme in settori (israeliano e arabo), mentre il 52 per cento è contrario. Se però si evoca la possibilità di fare di Gerusalemme Est la capitale dello Stato palestinese i contrari salgono al 59 per cento e i favorevoli scendono al 33. Il 79 per cento degli intervistati reputa essenziale tenere la città sotto la sovranità di Israele. Per il 15 per cento non è importante.

Si esprime contro il ritiro da tutti i territori occupati il 77 per cento. Neppure lo scambio di territorio – cioè il cedere a un futuro Stato di Palestina parte del suolo israeliano in cambio degli insediamenti ormai stabiliti in Cisgiordania – trova molto favore: il 29 per cento dice sì, il 64 per cento, no. Emerge chiaramente che il criterio decisivo è la sicurezza di Israele: così per oltre l’80 per cento del campione è essenziale mantenere il controllo della Valle del Giordano e del territorio circostante l’aeroporto internazionale Ben Gurion, tra Tel Aviv e Gerusalemme, tanto più in una fase storica, come l’attuale, caratterizzata da instabilità e conflitti in Medio Oriente.

 


 

I parametri di Clinton

Formalizzati nel dicembre 2000 dall’allora presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, i parametri delineavano una serie di criteri – sui quali c’è tuttora consenso in sede internazionale – che potessero fungere da mattoni per la soluzione del conflitto tra israeliani e palestinesi.

I criteri toccano tutte le questioni cruciali in vista della soluzione – oggi considerata superata da molti – dei “due Stati per due popoli”. Clinton offriva una serie di variabili per definire il territorio spettante alle due nazioni. In nome della sicurezza di Israele si prevedeva uno Stato palestinese non militarizzato e con postazioni militari israeliane dislocate in punti strategici. Gerusalemme sarebbe divisa in due aree (araba ed ebraica) con sovranità palestinese sulla Spianata delle Moschee/Monte del Tempio ed israeliana sull’area sottostante del Muro occidentale. Quanto alla questione dei profughi palestinesi, i parametri prevedono il riconoscimento, in linea di principio, del diritto al ritorno alle proprietà lasciate dopo la guerra arabo-israeliana del 1948 (anno della nascita dello Stato ebraico). Il principio, però, troverebbe un’applicazione poco più che simbolica in Israele. Un indennizzo verrebbe versato a chi non può più ritornare alle sue proprietà.

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