Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Profughe in passerella per non darla vinta alla guerra

Laura Silvia Battaglia e Bnar Sardar
27 gennaio 2017
email whatsapp whatsapp facebook twitter versione stampabile

La storia di un gruppo di donne profughe nel Kurdistan iracheno. Per riscattarsi dalla guerra che ha travolto le loro esistenze, apprendono le tecniche degli stilisti di moda. E danno vita a una sfilata delle loro creazioni.


Dilan ha i capelli scuri e i sogni di gloria degli adolescenti. Anche se la vita, finora, con lei non è stata clemente: vive nel campo profughi di Baraka, vicino a Suleymaniya, nel Kurdistan iracheno. «Diventerò stilista», afferma convinta dopo la sfilata. Ma per farlo davvero ha davanti a sé una montagna da superare: l’ambiente dove è cresciuta, molto conservatore; una serie di tabù che imprigionano la sua fantasia creativa; le difficoltà logistiche su dove andare e come accedere a studi adeguati.

Come lei ce ne sono molte altre, qui, a Baraka, in cerca di un’opportunità che le faccia volare alto e lontano da un campo profughi. Samiha è una rifugiata da Qamishli, in Siria. Si definisce «sarta professionista» e per questo motivo non ha indugiato a seguire il corso di fashion designing organizzato dalla ong Civil development organization insieme all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiani (Acnur/Unhcr). «In questo modo – dice – posso acquisire competenze e creare la mia linea».

Il laboratorio è iniziato due mesi fa a Suleymaniya e ha come obiettivo lo sviluppo e il potenziamento delle capacità creative e di lavoro delle donne rifugiate. Il successo è stato notevole: si sono iscritte in trenta, tra le quali molte casalinghe e sei studentesse delle scuole superiori. Per concludere, è stata organizzata l’immancabile sfilata di abiti da sera femminili, abiti non convenzionali, con un mix di stile orientale e occidentale. Undici tra loro, oltre a delle giovani professioniste irachene non profughe, si sono prestate anche come modelle e c’è voluto un bel coraggio per salire in passerella. Ma l’obiettivo ha reso tutte più coraggiose: raccogliere fondi per i loro progetti di studio e di lavoro.

Il backstage della sfilata è abbastanza ordinato, ma l’emozione si taglia col coltello. Darya si fa truccare senza riluttanza. Poi infila un abito a sirena blu, che le solleva i seni, rendendola provocante. Tornata dalla passerella, si butta sulla sedia rilassata e dice la sua: «Fin dalla mia infanzia ho amato il fashion design e la passerella. Calcare le scene è stato un sogno divenuto realtà, ma prima di tutto l’ho fatto per l’obiettivo: raccogliere fondi per trasformare il sogno delle giovani donne rifugiate in un lavoro vero».

Masty è modella di professione. Viene da Suleymaniya e ha un portamento regale. Ha superato quella fase della vita e della professione in cui ci si sente in difficoltà perche hai tutti gli occhi addosso. Dice: «Aiutare le ragazze rifugiate del Rojava è un piacere e conferma che non importa dove o come si vive: importa solo l’energia e la creatività che ci si mette nel fare arte». La sua sicurezza in passerella rende tutte più rilassate: qui ognuna vive il suo personale struggimento e combatte per dimostrare a se stessa e alla prima cerchia sociale intorno a sé, dalla famiglia in poi, che una donna può essere una buona moglie, una brava madre madre e gestire bene le cose di casa, ma non ci sarebbe nulla di male nel potere pure calcare una passerella e disegnare dei vestiti senza subire lo stigma sociale che la vuole solo angelo del focolare domestico.

Gli spettatori della sfilata – una trentina di persone – sono qui più per interesse che per curiosità o critica e sembrano goderne. Nawres, una bella signora in prima fila che ha delle boutique a Suleymaniya ha interessi specifici: «È un buon momento per i designer arabi: sono venuta qui perche li apprezzo e mi piace scoprire nuovi talenti». Non si scompone di un millimetro di fronte ad abiti corti e scollati. «Mi piacciono, anche se li indosso in casa e tra donne». Nel pubblico c’è anche un padre che vuole restare anonimo: «Ho accettato la scelta di mia figlia di occuparsi di moda: non è facile, ma ne sono orgoglioso». Su quella passerella di Baraka, sono tutte regine. Chi sfila e chi crea. A vent’anni basta un bel vestito per sognare un lavoro, inebriarsi di bellezza e dimenticare la guerra.

«Tu sei quell’uomo» (2Sam 12,7)

«Tu sei quell’uomo» (2Sam 12,7)

La narrazione al servizio della formazione e dell'annuncio
Gerusalemme. Città impossibile – nuova edizione
Meir Margalit

Gerusalemme. Città impossibile – nuova edizione

Le chiavi per capire l’occupazione israeliana
Colorexploring
Barbara Marziali, Sandra Marziali

Colorexploring

Il metodo per conoscere se stessi e illuminare i lati oscuri della vita