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Chiede aiuto il missionario rapito in Yemen a marzo

Terrasanta.net
27 dicembre 2016
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Chiede aiuto il missionario rapito in Yemen a marzo
Don Tom Uzhunnalil nel video diffuso dai suoi rapitori.

In un video diffuso dai rapitori appare fragile don Tom Uzhunnalil, il salesiano rapito ad Aden, in Yemen, il 4 marzo 2016 da un commando che assalì un ospizio e uccise 14 persone tra cui 4 suore di Madre Teresa.


(g.s.) – È vivo, anche se non appare in buone condizioni, don Tom Uzhunnalil, il salesiano di nazionalità indiana rapito ad Aden, in Yemen, il 4 marzo 2016 da un commando armato che assalì un ospizio e uccise 14 persone tra le quali quattro Missionarie della Carità, le suore della famiglia religiosa fondata da Madre Teresa di Calcutta.

Per la prima volta i suoi sequestratori gli danno la parola in un video diffuso il 24 dicembre tramite YouTube. Non è dato sapere a quando risalga la registrazione, ma appare chiaro l’intento di aumentare la pressione sui negoziatori che trattano per la liberazione del religioso.

Don Tom era già apparso per pochi secondi l’estate scorsa in una clip muta nella quale era bendato e veniva schiaffeggiato. In quest’ultimo video ha una lunga barba incolta e parla in inglese per cinque minuti con un tono di voce a tratti affaticato ed esitante. Spiega di essere originario del Kerala e di essere stato rapito proprio perché da alcuni anni è presente come missionario cristiano nella città di Aden.

Il suo è un appello disperato rivolto a una molteplicità di interlocutori: il primo ministro, il capo dello Stato e l’episcopato dell’India, il Papa, i cristiani e tutti gli esseri umani che in varie parti del mondo hanno responsabilità di governo.

«Sono passati vari mesi – dice il salesiano – e i miei rapitori hanno avuto numerosi contatti con il governo indiano per giungere alla mia liberazione. Mi rattrista che nulla di serio sia stato fatto. I media raccontano che si fa di tutto per la mia liberazione, ma in realtà non è così. Sono molto triste e depresso. Chiedo ai cristiani dell’India, ai vescovi e al clero, di fare quanto è in loro potere per aiutarmi e così salvare la mia vita».

Rivolgendosi ai fratelli cristiani don Tom dice: «Nulla è stato fatto dal nostro Papa Francesco e dal vescovo di Abu Dhabi (il riferimento è al vicario apostolico dell’Arabia meridionale, mons. Paul Hinder, che ha giurisdizione canonica sullo Yemen – ndr) per ottenere la mia liberazione, nonostante i canali aperti dai miei rapitori. La cosa mi rattrista: se fossi stato un prete europeo il mio caso sarebbe stato trattato molto più seriamente. Sono indiano e quindi forse si ritiene che io valga meno».

E qui il sacerdote paragona il suo caso a quello di una giornalista di nome Nourane, rapita a Sana’a e più tardi liberata perché lei è francese. Così, in termini vaghi il religioso. Le cronache forniscono dettagli più precisi: Nourane Houas, in realtà, faceva parte dello staff del Comitato internazionale della Croce Rossa e fu rapita nella capitale yemenita il primo dicembre 2015. Venne liberata il 3 ottobre scorso. La donna ha doppia cittadinanza: tunisina e francese. Anche nel suo caso in aprile fu diffuso un video in cui l’ostaggio implorava l’aiuto delle autorità di vari Paesi e chiedeva che fossero accolte le richieste dei sequestratori. Quelli di don Tom seguono un analogo copione. Appartengono alla stessa organizzazione?

«Cari tutti – riprende don Tom nell’ultima parte del suo videomessaggio – vi chiedo, vi prego, vi scongiuro di fare tutto quanto vi è possibile per salvare la mia vita. Caro Papa Francesco, come padre le chiedo di prendersi cura della mia vita. Chiedo anche ai vescovi di tutto il mondo di prestarmi aiuto. Sono molto depresso e la mia salute va deteriorandosi. Potrei presto aver bisogno di essere ricoverato in ospedale. Aiutatemi presto! Chiedo agli esseri umani di vari governi di considerarmi come una persona umana e di soccorrermi in virtù dell’aiuto umanitario. Aiutatemi! Per favore, ho bisogno del vostro aiuto!»

Tra gli interlocutori a cui si rivolge, don Tom non cita mai espressamente la congregazione salesiana, a cui appartiene. I confratelli chiedono a tutti di continuare a pregare per lui e assicurano, tramite Ans – l’Agenzia salesiana di informazione -, che continuano «ad accompagnare gli sforzi per una positiva conclusione della vicenda».

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