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I maturandi ribelli

Elisa Ferrero
4 luglio 2016
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Dopo gli avvocati, i medici e i giornalisti, ora in Egitto si ribellano gli studenti delle superiori. Il malcontento si allarga e l’età di chi dice “no” si abbassa. La generazione di piazza Tahrir, esausta e scoraggiata, ha forse passato il testimone a una nuova generazione di “rivoltosi”.


L’esame di maturità (al-thanawiyya al-ʻamma) è un cruciale rito di passaggio anche in Egitto, ma con una fonte di angoscia in più, poiché serve allo stesso tempo da esame di accesso alle facoltà universitarie. In altre parole, le facoltà cui è possibile accedere dopo la scuola superiore dipendono dal voto finale di questo esame. Se si vuol fare medicina, ingegneria o altre facoltà socialmente prestigiose bisogna ottenere un voto molto alto (e il minimo voto richiesto dipende anche dall’autorevolezza dell’ateneo scelto). Se ci si “accontenta” di studiare lettere e altre discipline umanistiche, basta un voto più basso, ma se il voto è troppo basso si rischia di restare esclusi dall’istruzione universitaria. Se qualcosa va storto, e non sei ricco abbastanza per proseguire gli studi all’estero, il sogno di prenderti una laurea svanisce, così come i sacrifici finanziari della tua famiglia per farti studiare. Se poi ciò che ti impedisce di realizzare il tuo sogno è la corruzione che affligge il sistema educativo, allora ti ribelli.

Ribellarsi è proprio quello che stanno facendo, da un mese a questa parte, moltissimi maturandi egiziani, un popolo di oltre 500 mila giovanissimi. Le domande d’esame di diverse discipline (francese, spagnolo, economia, religione, arabo, inglese e altre ancora) sono infatti state trafugate e pubblicate, con relative risposte, su alcune pagine Facebook poco prima della prova ufficiale. Per contromisura, il ministero dell’Istruzione ha cancellato e rimandato più volte le prove d’esame. Il problema, però, è che sono quattro anni che si ripete la stessa cosa. L’arresto degli amministratori delle pagine Facebook incriminate non ha fermato il fenomeno, né è servita l’incarcerazione di una dozzina di presunti complici fra i funzionari che lavorano nella stamperia del ministero, dove sono preparati i fogli d’esame. Abdel Rahman Omran, rappresentante di un’organizzazione studentesca, ha ben spiegato al quotidiano online  Madamasr che in passato solo le classi medio-alte potevano permettersi di comprare in anticipo una copia dell’esame e questa pratica, seppur nota, non creava problemi al dicastero competente. Ora, invece, i social media hanno reso disponibili a tutti quanti gli esami trafugati, dunque non si può più far finta di niente. Tuttavia, nonostante i provvedimenti adottati, le domande dei test continuano a comparire in anteprima sui social network. Gli studenti, sempre più arrabbiati, quest’anno hanno detto basta: denunciando l’inettitudine e la corruzione del ministero dell’Istruzione, hanno iniziato a protestare in varie città.

Alcuni hanno scelto la via dello humor. È successo con l’esame di religione. Il giorno della prova, già cancellata due volte, gli studenti maschi si sono presentati vestiti con la galabiyya, lunga tunica tradizionale tipica delle classi rurali e (si pensa) più religiose. In mano, un rosario. Le ragazze, invece, hanno indossato la ‘abaya, mantella nera che copre tutto il corpo, eccetto viso e mani. Il messaggio che volevano trasmettere era: «Siamo nelle mani di Dio!» E anche: «Vediamo un po’ se vestiti così stavolta ci fanno passare!»

Purtroppo, però, non tutto si è risolto con lo humor. Gli studenti più coraggiosi sono scesi in piazza, sfidando la temibile legge anti-proteste. Nemmeno la loro giovane età, però, li ha protetti dalla brutalità della polizia, subito intervenuta con gas lacrimogeni, botte e inseguimenti per le vie. Il 29 giugno, giorno in cui le proteste si sono fatte più audaci, alcune decine di studenti hanno deciso di protestare davanti al Ministero, ma sono subito stati dispersi. Alcuni hanno trovato rifugio nella sede del Sindacato dei giornalisti, altri hanno fatto una breve incursione in piazza Tahrir. «Mish hanimshy, huwa yimshi», hanno gridato. «Noi non ce ne andiamo, è lui che se ne va», il vecchio slogan diretto contro l’ex presidente Hosni Mubarak, ora riutilizzato contro il ministro dell’Istruzione El-Hilali el-Shirbini.

Un altro gruppo di dimostranti è stato arrestato e, dall’interno del furgone della polizia, è riuscito a inviare un video. Un po’ concitatamente, perché i poliziotti potevano tornare da un momento all’altro per dar loro un’altra razione di botte, hanno filmato i volti di tutti i presenti per far sapere chi era stato preso, casomai fossero stati fatti sparire. Le fotografie della giornata che qualche intrepido giornalista è riuscito a scattare sono già diventate storiche. Una ritrae un giovanissimo studente in jeans e maglietta blu che corre a rotta di collo, inseguito da un manipolo di poliziotti in tuta nera antisommossa. Un’altra mostra un ragazzo quasi sepolto sotto la massa nera di una squadra di poliziotti che, mettendogli mani e manganelli ovunque, lo sta quasi soffocando. La sproporzione di forze è spaventosa, eppure i ragazzi non si sono lasciati impaurire. Ciononostante, gli studenti non hanno finora ricevuto riscontri concreti alle loro proposte di riforma dell’esame di maturità, ma solo una vaga promessa da parte del presidente Abdel Fattah el-Sisi.

Dopo gli avvocati, i medici e i giornalisti, adesso si ribellano gli studenti delle superiori. Il malcontento si allarga, l’età di chi dice “no” si abbassa. La generazione di piazza Tahrir, esausta e scoraggiata, ha forse passato il testimone a una nuova generazione di “rivoltosi” che non ha vissuto in prima persona l’epopea del 2011, essendo appena entrata nell’adolescenza, ma ne ha assimilato valori e speranze? Questa massa di giovani dalle energie fresche promette grossi grattacapi al governo.

 


Perché “Kushari”

Il kushari è un piatto squisitamente egiziano. Mescolando ingredienti apparentemente inconciliabili fra loro, in un amalgama improbabile fatto di pasta, riso, lenticchie, hummus, pomodoro, aglio, cipolla e spezie, pare sfuggire a qualsiasi logica culinaria. Eppure, se cucinati da mani esperte, gli ingredienti si fondono armoniosamente in una pietanza deliziosa dal sapore unico nel mondo arabo. Quale miglior metafora per l’Egitto di oggi? Un Egitto in rivoluzione che tenta di fondere mille anime, antiche e recenti, in una nuova identità, che alcuni vorrebbero monolitica e altri multicolore. Mille anime che potrebbero idealmente unirsi, come gli ingredienti del kushari, per dar vita a un sapore unico e squisito, o che potrebbero annientarsi fra acute discordanze. Un Egitto in cammino che è impossibile cogliere da una sola angolatura. È questo l’Egitto che si tenterà di raccontare in questo blog.

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