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Una proposta di al-Azhar per combattere il jihadismo in Europa

di Elisa Ferrero
23 novembre 2015
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Gli attacchi terroristici del 13 novembre a Parigi hanno colpito emotivamente anche l’Egitto. L’Università di al-Azhar al Cairo, in quanto centro di studi islamici più autorevole del mondo sunnita, non poteva tacere. Abbas Shoman, vice del Grande Imam di al-Azhar, ha proposto che sia proprio la sua istituzione a provvedere, con un apposito centro in Europa, all’istruzione di imam e predicatori europei. Così si purificherebbe il discorso religioso da derive estremiste. Ma sarebbe sufficiente?


Gli attacchi terroristici del 13 novembre a Parigi hanno colpito emotivamente l’Egitto come molti altri paesi. Non solo per un naturale sentimento di solidarietà umana verso le vittime, ma anche perché fra queste ci sono anche degli egiziani. Come il giovane Walid Abdel Razzaq, in un primo momento sospettato di essere uno degli attentatori, poi ritrovato in ospedale fra la vita e la morte e riconosciuto come vittima dell’esplosione all’ingresso dello stadio di Parigi. Inoltre, in Egitto non si è ancora calmato il dibattito sull’attentato del 31 ottobre scorso all’Airbus russo nei cieli del Sinai, né la popolazione ha smesso di sentirsi bersaglio di varie forme di jihadismo e terrorismo. Pertanto, l’Università di al-Azhar al Cairo, in quanto centro di studi islamici più autorevole del mondo sunnita, non poteva tacere.

A parlare è stato Abbas Shoman, vice del Grande Imam di al-Azhar Ahmed al-Tayyeb, in un’intervista all’agenzia France Press. Shoman ha iniziato con il ribadire la ferma condanna da parte di al-Azhar degli atti terroristici di Parigi, come già avvenuto per l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo, il 7 gennaio scorso. Anzi, ha affermato che al-Azhar condanna a priori ogni atto terroristico, senza aspettare di conoscere l’identità degli attentatori, perché la sharia proibisce e considera criminale il terrorismo in generale, qualsiasi forma esso assuma. Poi, Shoman ha rivolto un rimprovero all’Europa e alla Francia, secondo lui colpevoli di essersi tappate le orecchie di fronte ai tanti appelli di al-Azhar a combattere il terrorismo islamico sul terreno del pensiero, piuttosto che su quello militare e securitario. L’uso della forza, infatti, avrebbe l’effetto contrario di rafforzare il jihadismo, distruggendo al tempo stesso interi Stati e popolazioni, come dimostra quanto successo dopo l’11 settembre.

La proposta di al-Azhar, espressa per bocca di Shoman, sarebbe allora quella di provvedere direttamente essa stessa, attraverso la creazione di un centro apposito in Europa, all’istruzione di imam e predicatori europei. In questo modo si purificherebbe il discorso religioso da derive estremiste e si attrezzerebbero gli uomini di religione a combattere l’ideologia islamista diffusa nelle moschee europee dai predicatori di violenza, proteggendo soprattutto i giovani musulmani da pericolosi lavaggi del cervello. Unica condizione posta da al-Azhar per la realizzazione del progetto: la tutela dell’incolumità dei propri inviati in Europa.

Ma aumentare la presenza di al-Azhar in Europa sarebbe davvero sufficiente a salvare molti giovani dagli artigli dei predicatori dell’odio? Il fenomeno dei combattenti all’estero (i foreign fighters) e dei jihadisti europei è veramente solo un problema di discorso religioso interno all’islam? Lo stesso Shoman fa notare come questi terroristi siano molto spesso convertiti recenti, con una conoscenza irrisoria della storia e della cultura islamica, per non parlare del Corano e della Sunna. L’impressione è che, piuttosto che all’islam, essi si siano convertiti al jihad, inteso però come guerra totale alla vita, inclusa la loro. Persino il Grande Imam di al-Azhar Ahmed al-Tayyeb, in questi giorni, ha definito il terrorismo come «una malattia intellettuale e psicologica che usa la religione come facciata». È dunque solo sul piano del rinnovamento del discorso religioso islamico che si può intervenire efficacemente?

Inoltre, non si può dimenticare nemmeno il dato politico che si nasconde dietro l’ascesa di organizzazioni jihadiste quali il gruppo Stato islamico (Isis), dato cui ha fatto cenno lo stesso Shoman quando ha proposto di ridefinire lo stesso termine «terrorismo». Infatti, si può ancora definire terrorismo l’occupazione di intere province nel cuore del Sahara, sotto l’occhio vigile dei satelliti spia delle nazioni occidentali, senza che queste tuttavia muovano un dito? Secondo Shoman, questo è il segno che l’Isis gode del sostegno di nazioni e servizi di intelligence di alto livello.

L’iniziativa di al-Azhar è sicuramente nobile e importante, e potrebbe offrire un valido aiuto nel combattere l’ideologia estremista che sta alla base dell’arruolamento di molti giovani fra le fila del jihadismo, ma di certo non basterà, perché il fenomeno del jihadismo europeo, come in Medio Oriente, va molto oltre la dimensione del discorso religioso.

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