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La sinagoga birmana

Francesco Pistocchini
14 agosto 2015
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Appare inattesa fra le stradine del vecchio quartiere coloniale di Yangon. Discreta e ben conservata, la sinagoga Musmeah Yeshua è il tempio di una piccola comunità di poche famiglie ebree.


Non è il luogo di culto che ci si aspetta di trovare fra le stradine che corrono parallele, nel vecchio quartiere coloniale di Yangon: a una decina di isolati, infatti, la sagoma dorata della pagoda di Sule ricorda la radicata presenza del buddhismo theravada in queste terre. Discreta e ben conservata, la sinagoga Musmeah Yeshua è il tempio di una piccola comunità ormai ridotta a poche famiglie rimaste in Myanmar, eredi tra i più lontani della diaspora orientale.

La Birmania (come si chiamava allora il Myanmar) conquistò nel 1948 l’indipendenza, recidendo molti legami con l’India alla quale i britannici l’avevano unita. Proprio da alcune città indiane, ma anche dalla Persia e perfino dall’Europa orientale erano giunti i primi ebrei nell’Ottocento, interessati al commercio del legno di teak. Alcuni erano ebrei di Calcutta, originari di Baghdad, e parlavano arabo. Con l’espandersi delle attività commerciali di Yangon, diventata capitale – col nome di Rangoon – nel 1852 e non secondario porto sulle rotte tra India e Singapore, la comunità perlopiù sefardita si fece numerosa e influente. Nel 1857 fu costruita la sinagoga, prima in legno e a fine secolo in pietra, nelle forme che si possono osservare oggi.

Gli sconvolgimenti della seconda guerra mondiale, con l’invasione giapponese della Birmania, spinsero molti a lasciare il Paese per tornare in India o trasferirsi in Israele. Le relazioni tra Birmania/Myanmar e gli ebrei hanno subito fasi alterne. Nel 1949 il governo di Rangoon ha riconosciuto lo Stato di Israele e i due Paesi hanno aperto le proprie ambasciate. U Nu fu il primo capo di governo al mondo a visitare lo Stato ebraico. A lungo la Birmania ha esportato riso ricevendo in cambio dagli israeliani assistenza tecnica in campo agricolo e nelle tecnologie per le irrigazioni. Pure dopo la presa del potere da parte dei militari nel 1962, le relazioni non si sono mai interrotte, anche se l’isolamento economico della Birmania per anni ha pesato sui rapporti bilaterali.

Benché ridotta a poche decine di membri, la comunità ebraica di Yangon continua a mantenere aperto il tempio e, in alcune occasioni particolari, invita personalità pubbliche e religiose birmane e diplomatici stranieri. La cura della sinagoga è da oltre trent’anni nelle mani di Moses Samuels. Ha ereditato l’incarico dal padre Isaac e spera di lasciare al figlio Sammy il compito di preservare questo luogo della memoria storica, oltre che della fede. La comunità non ha un rabbino dal 1969 e anche il cibo kosher è difficilmente reperibile. Più a nord, il vecchio cimitero ebraico che per un secolo ha accolto alcune centinaia di tombe, ha rischiato di essere distrutto una ventina di anni fa per attuare il piano regolatore, ma è stato salvato grazie all’impegno di Samuels.

Oggi, mentre la Birmania sembra lentamente allentare la morsa del regime militare e stabilire rapporti più distesi con il resto del mondo, se non i fedeli in preghiera, almeno i visitatori della sinagoga sono in aumento. Il cancello di questo edificio di pietra, dipinto di bianco e blu, apre ogni giorno, sotto il grande candelabro a sette braccia. Permette di accedere all’aula del culto che richiama la sinagoga di Calcutta con alti soffitti e il bimah (la piattaforma centrale rialzata – ndr) in legno intarsiato, circondato da colonne chiare che sorreggono i matronei.

«La comunità fu importante per la città, costruì scuole e biblioteche – racconta Moses Samuels –. Aveva oltre un centinaio di rotoli della Torah, mentre oggi se ne conservano solo due alla Musmeah Yeshua». Al di là dei numeri, la sinagoga resta un luogo vivo di relazioni interculturali. I rapporti tra le comunità religiose, anche i musulmani che vivono nel quartiere, sono buoni e di collaborazione concreta. Per la festa di Chanukkah, si ritrovano alla sinagoga numerosi buddhisti, cristiani, induisti e musulmani, oltre alle autorità locali. Per la gioia di Moses Samuels, accanto agli ebrei partecipano alla celebrazione. Qualcosa di raro.

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