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«Quei campi in Italia dove ritrovammo la gioia di vivere»

Terrasanta.net
23 giugno 2015
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«Quei campi in Italia dove ritrovammo la gioia di vivere»
Una lunga tavolata di giovani ebrei nel campo di Sciesopoli, a Selvino, in provincia di Bergamo. (foto Archivio Yad Vashem)

Da maggio è online sul sito dello Yad Vashem, il memoriale dell’Olocausto a Gerusalemme, una mostra virtuale dedicata ai campi per i profughi ebrei e i collettivi sionisti che sorsero in Italia dopo la seconda guerra mondiale. Quella raccontata dalla mostra - in inglese - è una storia poco nota al grande pubblico: tra il 1945 e il 1951, circa 70 mila profughi ebrei europei transitano per questi campi, dove tornano alla vita dopo gli orrori del nazi-fascismo.


(c.g.) – Dal maggio scorso è online sul sito dello Yad Vashem, il memoriale dell’Olocausto a Gerusalemme, una mostra virtuale dedicata ai campi per i profughi ebrei e i collettivi sionisti, che sorsero numerosi in Italia subito dopo la seconda guerra mondiale.

Quella raccontata dalla mostra – in lingua inglese – è una storia non molto nota al grande pubblico: tra il 1945 e il 1951, circa 70 mila profughi ebrei d’ogni parte d’Europa passano dal suolo italiano (nella sola estate del ’45, appena terminata la guerra, sono tra i 13 e i 15 mila, provenienti soprattutto da Polonia, Ungheria e Stati del Baltico). Per circa 50 mila di loro si tratta solo di una tappa del viaggio che li porterà verso la terra di Israele. L’Italia, infatti, per la sua posizione geografica rappresenta una perfetta «stazione di partenza» per raggiungere Gerusalemme. Per accogliere tutta questa gente nel nostro Paese vengono allestiti 35 campi. Alcuni ospitano solo poche dozzine di persone, altri addirittura migliaia.

Di fianco o all’interno dei campi vengono allestiti «collettivi sionisti» (Hachsharot) o kibbutz per preparare i rifugiati al tipo di vita che troveranno in Israele. La cosa più importante è che in questi campi migliaia di persone, dopo anni di sofferenze, stenti, persecuzioni, lentamente iniziano a tornare alla vita normale: in questi luoghi si fa teatro e si suona musica, si svolgono eventi sportivi e si pubblicano giornali in lingua yiddish. Ci si sposa, si lavora, si passa il tempo libero.

Nella mostra virtuale Mordehai Greenberg, racconta ad esempio della sua permanenza in un campo profughi allestito a Roma, nei capannoni di Cinecittà. Mordehai Braun narra del campo allestito a Modena, nei locali dell’Accademia militare.

Una sezione intera della mostra è dedicata a Sciesopoli, la colonia di Selvino, sulle Prealpi bergamasche, dove – in una ex casa di vacanze fascista – per tre anni vennero accolti e cresciuti bambini e adolescenti ebrei sopravvissuti alla guerra. Un luogo in cui i ragazzi e le ragazze potevano finalmente recuperare la pienezza della loro vita effettiva e tentare di superare i traumi della guerra. Shmuel Shilo aveva 16 anni quando venne ospitato a Selvino. Ecco cosa racconta dei primi giorni: «Dopo due settimane che ero lì anche io iniziai a fare la guerra coi cuscini, ballare con le ragazze, giocare a pallone… Ci vollero due settimane e poi tornai alla mia età. La cosa più grande di Selvino è che ci restituì la nostra gioventù…». A Selvino i ragazzi ebrei iniziavano a studiare ebraico, a praticare la loro religione, si preparavano per andare finalmente in Israele.

La mostra online sui campi per rifugiati ebrei in Italia ha senza dubbio il merito di raccontare un capitolo di storia italiana, oltre che ebraica, a molti poco noto. Ricca e gustosa la galleria fotografica con immagini d’epoca; numerosi i video di testimonianze dei sopravvissuti. Peccato che testi e didascalie siano unicamente in inglese e che l’audio delle testimonianze video sia solo in ebraico e senza sottotitoli.

Chi non avesse dimestichezza con queste due lingue può almeno approfondire il capitolo di Sciesopoli su un altro documentatissimo sito, questa volta in italiano: www.sciesopoli.com Le sue pagine multimediali rappresentano un  importante tappa di un progetto più ambizioso che punta a risollevare il complesso di Selvino dallo stato di semi-abbandono in cui versa, per farne un nuovo luogo della memoria: un luogo di vita e di rinascita, stavolta, e dunque ancora più degno di essere valorizzato.

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