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Nello Yemen si apre un nuovo fronte tra opposti estremismi

di Giuseppe Caffulli
30 settembre 2014
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Mentre l’aviazione statunitense, insieme ad una coalizione di Stati arabi, sta procedendo a sbandare i miliziani dello Stato islamico (Is), bombardando postazioni strategiche, mezzi militari, ma soprattutto pozzi petroliferi, altri fronti purtroppo si aprono nel martoriato Medio Oriente. Capita nello Yemen, il più povero tra i Paesi del mondo arabo.


Mentre l’aviazione statunitense, insieme ad una coalizione di Stati arabi, sta procedendo a sbandare i miliziani dello Stato islamico (Is), bombardando postazioni strategiche, mezzi militari, ma soprattutto pozzi petroliferi, altri fronti purtroppo si aprono (lontano dai riflettori) nel martoriato Medio Oriente.

Capita nello Yemen, il più povero tra i Paesi del mondo arabo. Dopo settimane di proteste e sit-in pacifici nella capitale Sana’a, si contano ora i primi morti. Cosa è accaduto? Le forze di sicurezza yemenite hanno aperto il fuoco su un gruppo di manifestanti houthi della minoranza sciita, che dall’inizio di settembre stava protestando davanti al Palazzo del governo per gli aumenti vertiginosi di alcuni generi di prima necessità, tra cui carburante e combustibili vari. Numerosi gli arresti, seguiti a veri e propri rastrellamenti nei quartieri della città. La decisione del presidente yemenita Abed Rabbo Mansour Hadi di destituire il governo in carica, accusato di corruzione, e di nominare un nuovo primo ministro, riducendo anche l’aumento dei prezzi della benzina, non ha convinto i ribelli. I manifestanti hanno occupato la strada che conduce all’aeroporto internazionale, accusando le forze armate di bombardare le posizioni anti-governative nelle regioni settentrionali del Paese.

Che non si tratti però di una semplice faccenda interna lo si capisce dando uno sguardo alla storia recente del Paese. E all’appartenenza religiosa degli houthi.

La situazione dello Yemen è piuttosto incandescente dal 2011, quando – complice il vento impetuoso delle Primavere arabe – si aprì una durissima lotta per cacciare il presidente Ali Abdullah Saleh (che il 27 febbraio 2012 ha formalmente ceduto il potere al suo vice, Hadi). Ancora prima, nel Paese era in atto una vera e propria guerra civile che vedeva contrapposti gli houthi, arroccati nel nord, vicino al confine con l’Arabia Saudita, e il governo di Sana’a. Il movimento combattente, che si identifica con lo zaidismo (la setta musulmana che prende il nome dal quinto imam, Zayid ibn ‛Ali, nipote di Husain), appartiene all’islam sciita. E si contrappone, chiedendo maggiore autonomia, al governo di Sana’a e nientemeno che alle formazioni jidhadiste che fanno capo ad al Qaeda. Sfruttando l’onda della protesta popolare, dalla metà di agosto le fazioni houthi (che prendono il nome dal loro leader ucciso nel 2004 dall’esercito yemenita) sono scese fin nella capitale, ottenendo varie vittorie contro le milizie tribali e contro le fazioni sunnite nella provincia di Amran. E dimostrando in maniera inequivocabile che il presidente Hadi è incapace di controllare la capitale.

Il rischio è che ora, nelle strade di Sana’a, si possa accendere una vera e propria lotta tra islamisti sciiti e islamisti sunniti. I primi, forti del consenso delle popolazioni del nord (prima della riunificazione dello Yemen, a Ta’izz risiedeva l’imam zaidita), hanno incassato il sostegno anche economico dell’Iran degli ayatollah. I secondi hanno alle spalle la rete dell’Islam fondamentalista sunnita, lo stesso che ha dato vita al Califfato che ha conquistato parte della Siria e dell’Iraq. E che di fronte all’attacco delle fazioni zaidite del nord sta raccogliendo nuovo consenso (e forze fresche) in chiave anti-sciita tra le fasce giovani degli abitanti del sud. In mezzo il debole governo di Sana’a e un esercito che rischia di scricchiolare, preso tra due fuochi, come quello iracheno sotto l’avanzata dei miliziani del califfo.

In questo contesto, le organizzazioni umanitarie temono una nuova catastrofe. Il Paese, dal 2011 ad oggi, ha visto aumentare in maniera esponenziale la piaga della povertà. La disoccupazione è endemica, i livelli di malnutrizione infantile sono tra i più alti del mondo. Oggi oltre il 60 per cento della popolazione (poco più di 25 milioni) vive al di sotto della soglia di povertà (1,25 dollari al giorno pro capite).

Insomma, il Paese potrebbe non reggere l’ennesima crisi tra le due anime dell’Islam che si combattono fin dalle origini. E che in queste plaghe deserte e montuose della Penisola arabica potrebbero giocare una delle partite più sanguinose.

(Su Twitter: @caffulli)

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