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La posta in gioco in Iraq

Giorgio Bernardelli
13 giugno 2014
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Abituati ormai come siamo alle notizie tragiche dal Medio Oriente forse non abbiamo ancora capito fino in fondo la portata di quanto sta succedendo in queste ore in Iraq. Terrasanta.net ha già raccontato la situazione drammatica dei cristiani di Mosul, la seconda città dell'Iraq. Vale però la pena anche di allargare un po' lo sguardo per capire la posta in gioco dello scontro che si sta consumando a nord di Baghdad...


Abituati ormai come siamo alle notizie tragiche dal Medio Oriente forse non abbiamo ancora capito fino in fondo la portata di quanto sta succedendo in queste ore in Iraq. Terrasanta.net ha già raccontato quanto la situazione sia drammatica per i cristiani di Mosul, la seconda città dell’Iraq, da martedì ormai nelle mani dei miliziani jihadisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil, ma anche Isis, perché talvolta a «del Levante» si sostituisce «della Siria» – ndr). Vale però la pena anche di allargare un po’ lo sguardo per capire la posta in gioco dello scontro che si sta consumando a nord di Baghdad.

Per farlo bisogna partire dal nome di questa formazione che con molta superficialità da mesi in Italia si continuava a definire sbrigativamente come «Al Qaeda». In realtà lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante è una formazione che già nel suo nome indica un obiettivo ben preciso: la costituzione di un califfato islamico fondamentalista in un’area che va da Baghdad al mar Mediterraneo. Cioè ben al di là dei confini tracciati in Medio Oriente da Francia e Gran Bretagna alla fine della prima Guerra mondiale, con gli accordi di Sykes-Picot del 1916. È proprio quel quadro – sopravvissuto alla decolonizzazione attraverso la stagione dei nazionalismi arabi (e dei loro eserciti) – ciò che sta andando in frantumi. E i miliziani dell’Isil, che diffondono la fotografia del confine tra la Siria e l’Iraq fatto saltare per aria, sono come l’ufficializzazione di questo passaggio. È presto per dire come andrà finire, ma difficilmente al termine di questa nuova grande tragedia che nella regione sta già provocando centinaia di migliaia di nuovi profughi la carta geografica del Medio Oriente sarà uguale a prima.

È importante chiedersi – allora – da dove spunta questo Stato islamico dell’Iraq e del Levante e come ha fatto a riuscire ad arrivare là dove Al Qaeda in Iraq – la formazione del giordano Abu Musad al Zarqawi, ucciso dagli americani nel 2006 – non riuscì a spingersi.

A queste domande risponde molto lucidamente l’analisi di Paul Mutter tratta dal blog The Arabist che proponiamo qui sotto. Tre sono gli elementi fondamentali che stanno dietro all’ascesa dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante, formazione che oggi nella galassia jihadista conta molto di più di al Zawahiri, il cosiddetto successore di Osama Bin Laden. Il primo elemento è evidentemente la guerra in Siria: negli ultimi tre anni il conflitto intorno a Damasco è diventato il nuovo Afghanistan, dove sono affluiti in massa armi e combattenti stranieri. Ed è in questo contesto che Abu Bakr al Baghdadi ha costruito passo dopo passo l’Isil, milizia jihadista che dentro il grande scontro tra sunniti e sciiti persegue un obiettivo proprio: quello di dare vita a un califfato sunnita autonomo, di impronta salafita, capace di utilizzare in maniera scaltra le armi dei wahhabiti sauditi, ma insieme con l’ambizione per nulla nascosta di non ubbidire agli ordini di nessuno.

A dargli una grossa mano – ed è il secondo elemento – è stato il settarismo sciita con cui Nouri al Maliki ha governato l’Iraq, dopo che gli americani sono andati via lasciandogli le chiavi del Paese. Come molti avevano predetto, la guerra del 2003 ha aperto il vaso di Pandora delle divisioni etniche all’interno dell’Iraq e questo – soprattutto nel Nord del Paese, dove si trova Mosul – ha alienato le simpatie di molti sunniti per il governo di Baghdad.

Così – terzo elemento – l’Isil ha potuto tessere in questi mesi una rete di alleanze in quel contesto estremamente variegato che è il mondo iracheno. Non si potrebbe infatti spiegare in nessun altro modo la sua avanzata così rapida di queste ore, con l’esercito di Baghdad – in teoria numeroso e ben armato – che improvvisamente si dissolve.

L’impressione – però – è che siamo solo all’inizio di questa resa dei conti tra sunniti e sciiti la cui portata va ben al di là del controllo dell’Iraq. Non a caso l’Isil dichiara espressamente di essere in marcia non solo su Baghdad ma anche verso Kerbala, la località della storica battaglia dell’anno 680 che vide la sconfitta degli sciiti. E da Baghdad il grande ayatollah al Sistani – la maggiore autorità sciita dell’Iraq – risponde in queste ore chiamando i suoi fedeli alla guerra contro l’Isil. Non sarà affatto fulminea l’avanzata su Baghdad e Kerbala, che non solo al Maliki ma anche i suoi padrini a Teheran non possono permettersi di perdere.

Dentro a tutto questo la posizione più imbarazzata oggi è quella dell’Arabia Saudita, che ha foraggiato abbondantemente l’insurrezione in Siria e proprio da lì oggi vede minacciato il suo sogno di una leadership incontrastata su un Medio Oriente controllato interamente dai sunniti. Se – come appare probabile – gli iraniani sosterranno in forze al Maliki, i sauditi stavolta che faranno? Si schiereranno con l’Isil nonostante sia ormai un alleato pericoloso anche per i loro equilibri interni? Oppure cercheranno – con la mediazione degli Stati Uniti e della Russia – un’intesa con Teheran per rinegoziare le rispettive aree di influenza (confini degli Stati compresi) togliendo di mezzo comunque lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante? Dalla risposta a questa domanda probabilmente oggi dipendono la vita e la morte di migliaia di persone in Medio Oriente.

Clicca qui per vedere sull’archivio di Limes la cartina degli accordi di Sykes-Picot

Clicca qui per leggere l’articolo di The Arabist

Clicca qui per leggere la notizia sull’appello dell’ayatollah Al Sistani

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