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Alla tomba vuota del Risorto, per ridarsi coraggio nel cammino ecumenico

Giuseppe Caffulli, da Gerusalemme
25 maggio 2014
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Alla tomba vuota del Risorto, per ridarsi coraggio nel cammino ecumenico
Papa Francesco e il patriarca ecumenico Bartolomeo I in preghiera insieme nella basilica del Santo Sepolcro. (foto: Amos Ben Gershom/GPO/Flash90)

Gli apostoli Pietro e Andrea si incontrano di nuovo nelle persone dei loro successori Francesco e Bartolomeo. E lo fanno con lo stupore e con la gioia che solo le grandi anime sanno avere. Si incontrano di nuovo, come già 50 anni fa – quando Paolo VI e Atenagora si abbracciarono sul Monte degli Ulivi – nel luogo più significativo per ogni cristiano: il Santo Sepolcro.


Gli apostoli Pietro e Andrea si incontrano di nuovo. E lo fanno con lo stupore e con la gioia che solo le grandi anime sanno avere. Si incontrano di nuovo, come già 50 anni fa – quando Paolo VI e Atenagora si abbracciarono sul Monte degli Ulivi – nel luogo più significativo per ogni cristiano: il Santo Sepolcro. O, come amano dire i cristiani orientali: la basilica della Risurrezione (Anastasis). Perché qui l’evento della morte è stato sconfitto e la luce di Cristo ha vinto sulle tenebre del male.

Pietro e Andrea – nelle persone dei loro successori: Francesco e Bartolomeo – sono arrivati da due strade diverse ma convergenti, le due porte che permettono l’accesso al sagrato della basilica del Sepolcro. Un simbolo nel simbolo: divisi per secoli, nemici, spesso astiosamente l’uno contro l’altro, il vescovo di Roma e il patriarca di Costantinopoli sembrano nuovamente indicare, come i predecessori, la via obbligata verso la comunione tra le Chiese. Si sono fraternamente abbracciati e hanno disceso sottobraccio i gradini scivolosi che conducono al portale d’ingresso dell’Anastasis.

Sono entrati insieme nella basilica – con un’ora di ritardo sul programma, dopo essersi attardati presso la delegazione apostolica di Gerusalemme dove hanno firmato una Dichiarazione congiunta (clicca qui per il testo integrale) -, si sono inginocchiati e raccolti in preghiera alla Pietra dell’unzione che ricorda la deposizione del Cristo dal Calvario. Poi Papa Francesco – apparso a tratti in non piena forma fisica -e il patriarca Bartolomeo, accolti dai rappresentanti delle tre comunità che condividono la basilica: ortodossi, cattolici latini e armeni) si sono avviati all’edicola che custodisce la tomba vuota di Cristo, mettendo i loro passi su quelli di Paolo VI e di Atenagora, due uomini che seppero cogliere il soffio dello Spirito e aprire una pagina nuova nella storia delle relazioni ecumeniche.

Dopo il saluto del patriarca greco ortodosso di Gerusalemme Teofilo III e la proclamazione del Vangelo della Risurrezione in greco e in latino, è toccato a Bartolomeo pronunciare il suo discorso in un’ora che non è esagerato definire – nuovamente – storica.

«È con timore, emozione e rispetto – ha affermato con voce ferma, in lingua inglese, il patriarca di Costantinopoli – che noi ci troviamo davanti al “luogo dove il Signore giacque”, la vivificante tomba dalla quale è emersa la vita. E noi rendiamo gloria a Dio misericordioso, che ha reso degni noi, Suoi indegni servi, della suprema benedizione di farci pellegrini nel luogo in cui si è rivelato il mistero della salvezza del mondo. “Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo” (Genesi 28,17) ».

Tre i punti toccati dal discorso di Bartolomeo. Il primo: il Sepolcro vuoto ci comunica che la vita vince sulla morte e che essa non detiene la parola finale sulla nostra esistenza. Poi, soprattutto in relazione all’evento di stasera, la certezza che «la storia non può essere programmata, che l’ultima parola nella storia non appartiene all’uomo, ma a Dio. Le guardie del potere secolare hanno sorvegliato invano questa tomba. Invano hanno posto una gran pietra a chiusura dell’ingresso cosicché́ nessuno potesse farla rotolare via. Sono vane le strategie di lungo termine dei poteri mondani e a ben vedere, tutto è contingente di fronte al giudizio e alla volontà̀ di Dio. Qualsiasi sforzo dell’umanità̀ contemporanea di modellare il suo futuro autonomamente e senza Dio è una vana presunzione».

E infine: «Questa tomba sacra ci invita a respingere un altro timore che forse è il più diffuso nella nostra era moderna, vale a dire la paura dell’altro, del diverso, la paura di chi aderisce ad un’altra fede, un’altra religione o un’altra confessione. (…) Il fanatismo religioso minaccia ormai la pace in molte regioni del globo, dove lo stesso dono della vita viene sacrificato sull’altare dell’odio religioso. Davanti a tale situazione, il messaggio che promana dalla tomba che dà la vita è urgente e chiaro: amare l’altro, l’altro con le sue differenze, chi segue altre fedi e confessioni».

Papa Francesco – che non ha lesinato, ricambiato, nel corso della celebrazione, i gesti d’affetto verso Bartolomeo – ha iniziato a parlare con la voce velata dall’emozione. Un tono che però si è fatto via via più sicuro mano a mano che toccava i punti più significativi del discorso.

«In questa basilica, alla quale ogni cristiano guarda con profonda venerazione – ha detto Bergoglio – raggiunge il suo culmine il pellegrinaggio che sto compiendo insieme con il mio amato fratello in Cristo, Sua Santità Bartolomeo. (…) È una grazia straordinaria essere qui riuniti in preghiera. La Tomba vuota, quel sepolcro nuovo situato in un giardino, dove Giuseppe d’Arimatea aveva devotamente deposto il corpo di Gesù, è il luogo da cui parte l’annuncio della Risurrezione: “Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: ‘È risorto dai morti’” (Mt 28,5-7). Questo annuncio, confermato dalla testimonianza di coloro ai quali apparve il Signore Risorto, è il cuore del messaggio cristiano, trasmesso fedelmente di generazione in generazione (…) È il fondamento della fede che ci unisce, grazie alla quale insieme professiamo che Gesù Cristo, unigenito Figlio del Padre e nostro unico Signore».

Nella basilica gremita, lo sguardo di Papa Francesco incontra spesso quello di Bartolomeo. Non si nasconde le difficoltà, Bergoglio, ma sa che le soprese sono possibili. Che la speranza e la fede sanno smuovere anche le montagne. «Certo – dice con convinzione – non possiamo negare le divisioni che ancora esistono tra di noi, discepoli di Gesù: questo sacro luogo ce ne fa avvertire con maggiore sofferenza il dramma. Eppure, a cinquant’anni dall’abbraccio di quei due venerabili Padri, riconosciamo con gratitudine e rinnovato stupore come sia stato possibile, per impulso dello Spirito Santo, compiere passi davvero importanti verso l’unità. Siamo consapevoli che resta da percorrere ancora al tra strada per raggiungere quella pienezza di comunione che possa esprimersi anche nella condivisione della stessa Mensa eucaristica, che ardentemente desideriamo; ma le divergenze non devono spaventarci e paralizzare il nostro cammino».

E ancora, sottolineando con forza le parole: «Dobbiamo credere che, come è stata ribaltata la pietra del sepolcro, così potranno essere rimossi tutti gli ostacoli che ancora impediscono la piena comunione tra noi. Sarà una grazia di risurrezione, che possiamo già oggi pregustare. Ogni volta che chiediamo perdono gli uni agli altri per i peccati commessi nei confronti di altri cristiani e ogni volta che abbiamo il coraggio di concedere e di ricevere questo perdono, noi facciamo esperienza della risurrezione!».

Papa Francesco – ponendosi in linea con l’impegno già dichiarato nell’enciclica Ut Unum Sint (del 1995) da san Giovanni Paolo II – si è anche detto disponibile a «trovare una forma di esercizio del ministero petrino proprio del vescovo di Roma che, in conformità con la sua missione, si apra ad una situazione nuova e possa essere, nel contesto attuale, un servizio d’amore e di comunione riconosciuto da tutti».

E alla fine, un’esortazione: «Mettiamo da parte le esitazioni che abbiamo ereditato dal passato e apriamo il nostro cuore all’azione dello Spirito Santo, lo Spirito dell’Amore (cfr Rm 5,5) e della Verità (cfr Gv 16,13), per camminare insieme spediti verso il giorno benedetto della nostra ritrovata piena comunione». Un cammino che va posto sotto la protezione della Madre di Dio, a cui tutti i cristiani devono ricorrere quando manca il coraggio o le difficoltà sembrano insuperabili.

La celebrazione ecumenica ha avuto altri momenti importanti: la recita comune del Padre nostro, poi l’ingresso di Papa Francesco e di Bartolomeo nel sacello della tomba, dove si sono inginocchiati in preghiera davanti alla pietra del Sepolcro. Un momento di grande forza e significato spirituale: Pietro e Andrea soli davanti a mistero della morte e risurrezione del loro Maestro. Che incessantemente invita, anche oggi, ad essere «una cosa sola perché il mondo creda».

L’abbraccio d’amore di Gerusalemme, nel segno di Papa Montini e di Atenagora, è ora destinato a toccare il cuore dei credenti di tutto il mondo. E a contribuire a quel difficile esercizio che è la ricerca di ciò che unisce. Solo questa, quella dell’amore, appare la strada da percorrere. Lo ha ricordato Bartolomeo, guardando dritto negli occhi il suo amato amico Francesco: «Nessun altra via conduce alla vita eccetto la via dell’amore, della riconciliazione, della pace autentica e della fedeltà alla Verità».

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