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Cipro, alchimie per la riconciliazione

Giampiero Sandionigi
21 marzo 2014
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Cipro, alchimie per la riconciliazione
Nicos Anastasiades (a sin.) e il turco-cipriota Dervis Eroglu l'11 febbraio scorso. Al centro l'inviata speciale dell'Onu, Lisa M. Buttenheim.

Il «problema di Cipro», a Nicosia lo sanno tutti, è la separazione del Paese in due zone: una a sud dell’isola, a maggioranza greca, e una a nord, a maggioranza turca. Un problema incancrenito da ormai quarant’anni: da quel 20 luglio 1974 in cui le truppe turche invasero un terzo dell’isola per dar soccorso alla minoranza cipriota di stirpe turca.

I dialoghi bilaterali, tra ciprioti greci e ciprioti turchi, per trovare una soluzione alla questione erano riprese, tra attese e scetticismo nel 2008 su impulso dell’allora presidente della Repubblica di Cipro Demetris Christofias, che aveva rilanciato il dialogo con Mehmet Ali Talat, il capo dell’autoproclamata Repubblica turca di Cipro del Nord (riconosciuta solo dal governo di Ankara). Un anno e mezzo fa le estenuanti trattative si erano interrotte, mentre tramontava – ormai allo scadere del mandato – l’astro di Christofias e su Cipro albeggiava la pesante crisi economica che ha messo in ginocchio il Paese, troppo legato alla Grecia, anche finanziariamente, per non condividerne le sorti.

La buona notizia è che ora il dialogo riprende. Dopo sei mesi di negoziati due nuovi leader – il presidente Nicos Anastasiades e la sua controparte turco-cipriota Dervis Eroglu – hanno sottoscritto l’11 febbraio scorso una «Dichiarazione comune» che fa da cornice entro la quale riprendere a trattare a ritmi serrati. Si va verso uno Stato federale. Le difficoltà sono molte, ma la congiuntura internazionale sembra più favorevole che in passato. Al largo delle coste cipriote, in quella che il diritto internazionale definisce «zona economica esclusiva» (che si estende per alcune miglia oltre le acque territoriali), sono stati rinvenuti giacimenti sottomarini di gas. Quanto ingenti ancora non si sa. Le prospezioni, che coinvolgono l’italiana Eni, sono agli inizi. Allo sfruttamento comune di queste risorse Nicosia lavora già con il governo israeliano. La Turchia si è messa per traverso pure per conto della Cipro turca. Risolvere il «problema di Cipro» renderebbe più semplice procedere anche su questo versante. A premere perché si giunga a una soluzione c’è anche l’amministrazione Obama. Molti osservatori ritengono l’incoraggiamento degli Usa assai importante, ma non è detto che sia decisivo. La fase più cruenta del conflitto tra i greci e i turchi di Cipro è tutto sommato recente (parliamo degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso). Le ferite bruciano ancora nelle vite delle persone e contribuiscono a irrigidire le posizioni.

La Dichiarazione comune dell’11 febbraio dice comunque che la situazione attuale (lo status quo) «è inaccettabile» (per Anastasiades la generica affermazione si riferisce anche al permanere delle truppe turche di stanza nel nord dell’isola). Entrambi i firmatari riconoscono che «un accordo avrebbe un impatto positivo sull’intera regione». Si parla di affrontare tutte le questioni cruciali rimaste da risolvere e di giungere quanto prima a una soluzione da sottoporre poi a referendum popolare. Per la prima volta si riconosce ai negoziatori di ciascuna delle due parti la possibilità di confrontarsi anche autonomamente con i governi di Atene e Ankara, storici patrocinatori e punti di riferimento dei greci e dei turchi di Cipro.

La difficoltà più seria sta nella forma giuridica da dare allo Stato. Come in passato si parla di federazione di due soggetti sovrani di pari dignità (la Cipro greca e la Cipro turca) che danno vita a un unico soggetto internazionale. Proprio qui nascono i maggiori problemi: i greco ciprioti vogliono che l’esperienza storica della Repubblica di Cipro sia riconosciuta come unica legittima. Convincerli a ritenerla conclusa (e fallita?) per dar vita a qualcosa di nuovo ed equiparabile alla Cipro turca non sarà impresa facile.

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