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Mondo arabo, politiche e regimi al vaglio delle rivolte

Manuela Borraccino
12 gennaio 2014
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Mondo arabo, politiche e regimi al vaglio delle rivolte

Il volume Le rivolte arabe e l’Islam - curato da Massimo Campanini, uno dei massimi esperti italiani di pensiero islamico - analizza da una prospettiva storica e filosofica ispirata dalle teorie di Antonio Gramsci, le potenzialità del presente e del futuro nella nuova stagione in corso nel mondo arabo. Nel saggio che apre il volume, Campanini ripercorre la genesi delle rivolte e conduce il lettore all’interno del dibattito del mondo musulmano su potere e società civile.


Non ci sono solo la Tunisia, l’Egitto, la Libia, la Siria al centro del volume curato da uno dei massimi esperti di pensiero islamico. A tre anni dalle rivolte che hanno modificato in profondità gli assetti del Nord Africa e Medio Oriente, dieci politologi esplorano l’ascesa dei partiti islamisti e l’impatto delle «Primavere arabe» anche in Giordania, Libano, Iran e monarchie del Golfo.

Il libro Le rivolte arabe e l’Islam analizza da una prospettiva storica e filosofica, in particolare alla luce delle teorie politiche e sociali di Antonio Gramsci, le potenzialità del presente e del futuro nella nuova stagione in corso nel mondo arabo. E non solo a Tunisi, Il Cairo, Tripoli, Sana’a. Tre anni dopo il sacrificio del tunisino Mohammed Bouazizi, appare anzi in modo sempre più evidente come le rivolte arabe abbiano innescato delle dinamiche di cambiamento anche in Paesi che apparentemente sono stati appena lambiti dalle contestazioni.

Anche il trono giordano infatti, come spiega Zaid Eyadat, docente di Scienze politiche ad Amman, è stato investito dalle proteste, anche se non ai livelli di massa della Tunisia e dell’Egitto. Chi sono gli oppositori in Giordania? Il «potere contro egemonico» è rappresentato dai Fratelli Musulmani, certo. Ma l’affievolirsi delle proteste iniziali fornisce allo studioso l’occasione per spiegare il ruolo che il tribalismo tuttora gioca nella coesione della società giordana, e come questo fattore – insieme ai delicati equilibri legati alla questione palestinese – abbia sostanzialmente salvato la monarchia hashemita.

Di grande interesse risulta anche la lettura di Marco Di Donato su come la Primavera araba abbia paradossalmente rafforzato il sistema confessionale libanese.

Nel poderoso saggio che apre i nove capitoli del volume, il curatore Massimo Campanini, docente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento, ripercorre la genesi delle rivolte e conduce il lettore all’interno del dibattito che si svolge da decenni nel mondo musulmano su potere e società civile, a partire dalla fondazione e ascesa dei Fratelli Musulmani in Egitto. E mostra come in linea teorica il pensiero islamico non sia affatto incompatibile con la democrazia: i principi procedurali della rappresentanza e dell’eleggibilità, la preminenza della giustizia sociale e del bene comune sono riconosciuti dall’Islam. Il problema vero, spiega, è che sono mancate finora delle profonde e radicali revisioni, alla luce della modernità e dei cambiamenti in atto nel mondo contemporaneo, dei concetti del pensiero islamico classico di shurà (consultazione fra governanti e governati), maslaha (bene pubblico), bay’a (accettazione del potere costituito), ikhitiyar (scelta del governante e liceità del processo elettorale). Fino alla difficoltà, come si vede in tutti i Paesi interessati dalle rivolte, di realizzare nella pratica quel modello di dawla madaniya (Stato civile, né religioso né ateo) chiesto dai giovani che nel 2011 hanno animato le diverse piazze arabe «della liberazione».

Coadiuvato da studiosi esperti dei partiti islamisti come ‘Assem al-Dessuqi, Gennaro Gervasio e Andrea Teti per l’Egitto, da Anthony Santilli per la Tunisia, da Moncef Djazieri e Arturo Varvelli per la Libia, Campanini offre un’analisi di grande spessore che spiega quale clima abbia portato alla sollevazione di decine di milioni di egiziani e alla destituzione da parte delle Forze armate del presidente Mohammed Morsi.

Il volume si chiude con un’analisi di Ahmed Moussalli sugli effetti che le rivolte arabe hanno sortito sulla politica estera delle grandi potenze europee e di Stati Uniti, Russia, Cina, Turchia, Arabia saudita. Con uno sguardo al ruolo del petrolio nel cosiddetto «equilibrio dell’egemonia»: a 100 anni esatti dalla decisione epocale da parte dell’ammiragliato inglese di sostituire il carbone con la nafta, la sicurezza e l’accesso alle fonti dell’oro nero continuano a dominare il «Grande gioco» in Medio Oriente e Asia centrale fra Washington, Pechino e Mosca.


Massimo Campanini (a cura di)
Le rivolte arabe e l’Islam
La transizione incompiuta
il Mulino, Bologna 2013
pp. 253  – 18,00 euro

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