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L’Israele che non c’è più

Terrasanta.net
7 ottobre 2013
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L’Israele che non c’è più

C’era una volta il kibbutz. E c’era una volta una società, quella israeliana delle origini, laica ed egualitaria, profondamente mutata nel corso dei decenni. Testimone di questo cambiamento è Hanna Mendelsson, un’anziana donna sopravvissuta alla Shoah, che vede sgretolarsi sotto i suoi occhi, una dopo l’altra, tutte le certezze di una vita. Una storia raccontata ne Il Giardino di Hanna (in inglese Beautiful Valley) lungometraggio del regista Hadar Fridlich.


C’era una volta il kibbutz. E c’era una volta una società, quella israeliana delle origini, laica ed egualitaria, profondamente mutata nel corso dei decenni. Testimone di questo cambiamento è Hanna Mendelsson, un’anziana donna sopravvissuta alla Shoah, che vede sgretolarsi sotto i suoi occhi, una dopo l’altra, tutte le certezze di una vita.

Per generazioni di ebrei, soprattutto europei, il kibbutz ha rappresentato, negli anni eroici della nascita dello Stato d’Israele, una nuova possibilità di vita (dopo gli orrori del nazismo), un modo nuovo d’intendere le relazioni personali ed economiche. È stato così per Hanna, che qui ha lavorato, conosciuto l’amore, l’amicizia e la solidarietà. E che ora, a 80 anni, si rende conto di essere – ancora una volta – una sopravissuta. L’economia del kibbutz è in crisi: tocca vendere o privatizzare parti della comune. Cambiano le relazioni tra le generazioni, va in crisi il rapporto con i figli (alcuni dei quali abbandonano il kibbutz), il mondo esterno è percepito come ostile, incomprensibile… La mensa, un tempo centro della vita della comunità, viene smantellata; la cucina comune butta il cibo avanzato (che Hanna puntualmente raccoglie); la Casa dei bambini (dove un tempo erano cresciuti i figli dei kibbitzim) è chiusa; la Casa delle radici (che accoglie gli anziani) non è più il luogo dove viene custodita la memoria delle origini, ma un triste luogo di transito verso il camposanto. Hanna lotta con tutte le sue forze per difendere il ricordo di ciò che è stato. Passa il suo tempo a catalogare foto, a visionare filmati d’archivio con le testimonianze del fondatori. L’idea è di promuovere una mostra sulla nascita della comunità, ma scopre alla fine che anche l’archivio verrà smembrato e i locali affittati a un’azienda esterna. Da ultimo anche la figlia Yael l’abbandona, trasferendosi in un altro kibbutz.

Il Giardino di Hanna (in inglese Beautiful Valley) è stato proiettato a Milano nel contesto della seconda rassegna dedicata al cinema israeliano indipendente (dal 4 al 7 ottobre, Teatro Franco Parenti). Il regista Hadar Fridlich, che ha realizzato l’opera nel 2010, ci restituisce uno sguardo partecipe su un aspetto per nulla marginale della società israeliana oggi. Negli occhi di Hanna si riflette la storia di un’epoca, con le sue contraddizioni, i suoi miti decaduti (tra cui Marx e Lenin), le sue aspirazioni e i suoi slanci. Un’ideale di vita e di società che sembra uscire definitivamente sconfitto e avviato al tramonto (come Hanna, che nella scena finale imbocca un lungo viale alberato), ma con il quale l’Israele moderno non ha ancora – forse – saldato tutti i debiti di riconoscenza. (g.c.)

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