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Egitto, da dove ricominciare?

di Elisa Ferrero
29 luglio 2013
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Non c’è pace per l’Egitto e nemmeno se ne intravvede la parvenza all’orizzonte. I Fratelli Musulmani non cedono di un millimetro. Il loro principale antagonista, il generale Abdel Fattah el-Sisi, convoca la piazza – che risponde in massa – a sostegno della «guerra al terrorismo». Il governo civile da poco nominato stenta a far sentire la propria flebile voce. E intanto, dentro il popolo, ci sono vari schieramenti.


Non c’è pace per l’Egitto e nemmeno se ne intravvede la parvenza all’orizzonte. I Fratelli Musulmani non cedono di un millimetro, incamminati su una via suicida che sta loro inimicando sempre di più la maggioranza della popolazione. Il generale Abdel Fattah el-Sisi (comandante delle forze armate e ministro della Difesa – ndr) convoca la piazza – che risponde in massa – a sostegno della «guerra al terrorismo» (infauste, abusate parole), affermandosi come leader acclamato di una nuova ondata di nazionalismo. Il ministero dell’Interno, con le sue forze di sicurezza centrali, riprende a uccidere manifestanti, questa volta non del tutto pacifici. Il governo civile da poco nominato stenta a far sentire la propria flebile voce.

A completare il quadro ci sono i sempre più frequenti scontri fra i residenti dei quartieri di varie città e i sostenitori del presidente Mohammed Morsi, i quali, spesso, soprattutto al di fuori dei grandi centri urbani del Cairo e di Alessandria, prendono di mira i cristiani, identificati come i principali cospiratori dietro quello che essi considerano un colpo di Stato. Intanto, le narrative dei fronti opposti, in Egitto come all’estero, si fanno man mano più aggressive e meno accurate.

In mezzo a tutto ciò, si barcamenano le vite delle persone in carne e ossa, un vasto panorama umano costretto dalle difficili circostanze a «prendere posizione», venendo a patti, a volte, anche con i propri princìpi morali, come succede in tutti i conflitti civili. Ai due estremi opposti ci sono quelli che non hanno alcun dubbio e non si pongono interrogativi. Da un lato i superfedeli della Fratellanza Musulmana e altri islamisti che non sono disposti ad alcuna concessione o autocritica. Pronti anche morire per la causa, se necessario, o a scatenare un inferno. Dal lato opposto ci sono gli innamorati dell’esercito, i nostalgici di un leader forte, che vanno in brodo di giuggiole davanti a una foto del generale el-Sisi, che non provano nessuna pietà per gli islamisti e considerano legittima qualsiasi violenza su di loro da parte delle forze dell’ordine.

Ma fra questi due estremi opposti c’è una zona grigia affollata da molta più gente, quella che ha preso posizione con dolore e lucidità, ma che mantiene il senso critico. Vicino al campo islamista intransigente ci sono coloro che hanno deciso di schierarsi con Morsi per salvaguardare il governo civile e ciò che loro ritengono fosse un seme di democrazia, al quale si doveva dare la possibilità di svilupparsi, anche se non sanno dare risposte convincenti su come si sarebbe potuto uscire dalla crisi senza l’intervento dell’esercito, data la caparbietà dell’ex presidente Morsi. Vicino al campo militarista, invece, si collocano coloro che non si fanno più alcuna illusione sulla democraticità dei Fratelli Musulmani, smentita sul campo dal loro comportamento, in politica e nella società, negli ultimi due anni e mezzo. Molto semplicemente, si potrebbe dire che questi ultimi – fra i quali possiamo annoverare i copti – hanno deciso che fra uno Stato fascista e uno Stato religioso-fascista c’è più speranza con il primo.

Fa molto pensare che a questo campo – sia pur con dolore, come si accennava – abbiano aderito anche giornalisti e intellettuali da sempre impegnati nella lotta contro l’oppressione, prima di Hosni Mubarak, poi della giunta militare e quindi di Morsi, come Ibrahim Eissa o Alaa al-Aswani, e anche persone come Samira Ibrahim, la ragazza che subì il test di verginità dell’esercito, e Ghada Kamal, nota in Occidente come «la ragazza dal reggiseno blu», pestata e denudata in piazza dai militari durante la repressione di una manifestazione nel 2012. A questo campo appartengono anche miriadi di persone comuni che poco hanno avuto notizia o esperienza degli abusi passati dei militari e dunque si fidano ciecamente di quella che sembra loro l’unica affidabile istituzione dello Stato rimasta in piedi. Per ora, lo schieramento che sostiene i militari e il governo ad interim pare essere il maggioritario.

Infine, al centro o a lato di questi due schieramenti, si colloca un piccolo gruppo che non vuol saperne né dei Fratelli Musulmani né dei militari e ha scelto di stare ai margini. Sentendosi sconfitto e disperato, ha deciso per il momento di ritirarsi a osservare gli eventi, lavorando nell’ombra per documentare come sia possibile tutto quel che sta succedendo (poiché i mass media main stream hanno assunto un ruolo di partigianeria piuttosto che d’informazione). Oppure si aggrappa alla strenua difesa dei diritti umani, di tutti e in qualunque circostanza, unico punto fermo in un mondo che sembra impazzito. Di questo terzo campo fanno parte molti giornalisti indipendenti e gran parte degli attivisti per i diritti umani.

Tutti sono egiziani, tutti sono esseri umani. Da dove ricominciare per ricomporre questo mosaico frammentato?

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