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Autobomba nel sud di Beirut. In Libano la tensione cresce ancora

Terrasanta.net
9 luglio 2013
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A Beirut, nella mattinata di oggi, un'autobomba è esplosa in un quartiere a maggioranza sciita, controllato dal movimento Hezbollah, causando almeno 50 feriti. L'episodio è la riconferma di come – a causa del vicino conflitto siriano – la situazione interna in Libano si stia incattivendo pericolosamente.


(Milano/c.g.) – A Beirut, in mattinata, un’autobomba è esplosa in un quartiere a maggioranza sciita, controllato dal movimento Hezbollah, causando almeno 50 feriti. L’episodio è la riconferma di come – a causa del vicino conflitto siriano – la situazione interna in Libano si stia incattivendo pericolosamente. Di fronte all’attentato di oggi, suona come una profezia la dichiarazione finale della riunione mensile dei vescovi maroniti avvenuta mercoledì scorso, 3 luglio. Terminando l’incontro, secondo quanto riporta il sito Naharnet, i vescovi hanno puntato il dito contro la diffusione di armi illegali in Libano, dicendo che avrebbe portato solo ad aumentare il caos. La dichiarazione continuava con un invito a «tutti i gruppi armati libanesi» a «consegnare le armi alle forze di sicurezza. I movimenti politici non possono basarsi sulle armi per raggiungere i loro obiettivi. Devono invece farlo attraverso mezzi democratici».

L’autobomba è esplosa nel quartiere di Bir Al-Abed, nealla parte meridionale della città. L’esplosione ha un valore fortemente simbolico, essendo avvenuta il primo giorno del mese di Ramadan. Solo per miracolo non ha causato una strage, visto che sul parcheggio in cui era stata sistemata l’auto imbottita di esplosivo si affaccia un centro commerciale. Non è chiaro chi sia il mandante dell’attentato. Secondo Ali Ammar, esponente di Hezbollah, sull’attacco «è chiara l’impronta del nemico Israele e dei suoi complici». Anche Saad Hariri, ex primo ministro libanese e leader del sunnita Movimento del futuro, ha subito puntato il dito contro Israele, accusandolo di inasprire la tensione tra sunniti e sciiti. Anche il presidente del senato Nabih Berri, in quota sciita, sembra d’accordo: nelle sue prime dichiarazioni rilasciate al quotidiano The Daily Star, ha detto che l’esplosione punta a seminare discordia tra i libanesi e questo «rende necessaria la consapevolezza». «Fin dagli anni Ottanta, la periferia meridionale di Beirut è stata oggetto dei crimini israeliani: sia a livello terroristico, sia come bombardamenti dal cielo e dal mare che hanno portato morte e distruzione durante la guerra del 2006».

Il presidente Michel Sleiman, dal canto suo, ha richiamato tutti al dialogo, per ridurre la tensione interna nel Paese, ammonendo i politici a non lasciarsi coinvolgere dalla crisi siriana.

Nelle loro dichiarazioni di mercoledì scorso anche i vescovi maroniti hanno insistito sulla necessità del dialogo:  «Il Libano sta attraversando una fase critica e tutti dobbiamo aspirare alla convivenza, col fine di rafforzare il Paese». I vescovi hanno poi lanciato la richiesta ai poteri politici di abbracciare il dialogo e di rispettare lo Stato e l’esercito.

Commentando il momento politico, i vescovi si sono lamentati del fatto che il parlamento non ha ancora approvato una legge elettorale, dicendo che la proroga di 17 mesi al suo mandato è una scusa «priva di giustificazione» per coprire un fallimento. I vescovi hanno chiesto un nuovo governo, capace di stemperare le tensioni e di risolvere i problemi tra fazioni politiche. Inoltre, rispetto alla crisi siriana, i vescovi hanno condannato l’intervento di ogni potere libanese nel conflitto, tanto pro quanto contro il presidente Bashar al-Assad, perché questo «viola la sovranità libanese». Il riferimento era probabilmente agli scontri di Sidone che tra il 22 e il 23 giugno scorso hanno causato 18 morti e 50 feriti negli scontri tra l’esercito e i salafiti seguaci dello sceicco Ahmed al-Asir, un religioso sunnita che si è schierato contro Assad.

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