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Hebron, un soffio d’arte

Sofia Sainz de Aja
3 maggio 2013
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In un laboratorio della città cisgiordana lavora la famiglia al-Nastcheh, da generazioni dedita alla soffiatura del vetro.


Corre l’anno 1978 e la città di Hebron, nel sud della Cisgiordania, si prepara ad affrontare un’altra calda estate. Con i primi raggi del sole, Tawfiq si sveglia; è contento. Ha solo 5 anni, però già gli permettono di stare in negozio per vedere come lavora suo padre. Cosicché non c’è tempo da perdere, la giornata di lavoro è già iniziata e Tawfiq non vuole perdersi nemmeno un secondo.

Attratto dalla forma nella quale il vetro si trasforma in qualsiasi tipo di recipienti di diversi colori, Tawfiq presta attenzione e sogna di diventare un giorno anch’egli un soffiatore del vetro. Ma non è l’unico, suo fratello Samer e suo cugino Imad seguono ogni giorno la fabbrica di famiglia, disposti a mantenere una tradizione che è viva da più di un secolo: il vetro della famiglia al-Nastcheh.

La famiglia al-Nasctheh è rimasta la sola in Cisgiordania a lavorare il vetro in maniera tradizionale.

Le sue creazioni, già conosciute a livello internazionale, richiamano l’attenzione tanto dei turisti quanto degli stessi palestinesi. La chiave è: tutto resta in famiglia. «Quando lavori per e con la tua famiglia, tutto ciò in cui poni il tuo impegno e la tua attenzione, si trasforma in qualcosa di personale», assicura Samer al-Nastcheh. Sono passati già più di trent’anni  da quel caldo giorno del 1978. E sono Tawfiq e suo cugino Imad ad occuparsi oggi della produzione del vetro. «Sono nato con un tubo in bocca», assicura ridendo Imad, seduto alla destra del forno, quando gli domandano a quanti anni ha iniziato a esercitarsi in questa arte.

Anche Samer ha imparato da bambino, ma i dieci anni trascorsi in Inghilterra a studiare gli hanno creato difficoltà al suo ritorno. «Ero completamente disabituato, ed ero ormai troppo grande per imparare nuovamente», commenta, mentre racconta come l’unico modo per diventare un vero soffiatore del vetro sia proprio quello di cominciare da piccolo.

«Solo in questo modo si può arrivare a farne il proprio lavoro, come è accaduto a mio fratello Tawfiq, a Imad e a mio padre prima di loro», afferma Samer ci indica una foto in bianco e nero appesa alla parete principale. Si vedono vari uomini, all’inizio del secolo scorso, seduti in cerchio intorno ad un grande forno. In fondo, un bambino piccolo guarda con attenzione. «Questo – dice indicando il piccolo – è mio nonno, mentre osserva come suo nonno soffia il vetro, per imparare la tecnica che più tardi insegnerà ai suoi figli, mio padre tra loro, che è la stessa che a sua volta hanno imparato mio fratello e mio cugino».

Ma i tempi cambiano e la sfida non è solo nel conservare una tecnica artigianale centenaria, ma adattarsi alle nuove realtà senza perdere nemmeno un briciolo di autenticità. «Se la tecnica di soffiare il vetro è esattamente la stessa, ci sono alcune cose che sono cambiate… Per esempio i materiali», spiega Samer. Adesso, per rispetto dell’ambiente, utilizziamo vetro riciclato». Sul retro del negozio sono infatti accumulate montagne di vetro, che aspetta di essere riutilizzato. «Normalmente lo compriamo alla municipalità che si incarica di raccoglierlo dopo le feste e le cerimonie», chiarisce Samer. «La stagione migliore è adesso, durante l’estate, perché abitualmente si celebrano moltissimi matrimoni. Recuperiamo così qualche migliaio di bottiglie».

Ciò che però rende unico il vetro della famiglia al-Nastcheh, è lo stile inconfondibile che ha saputo creare negli anni. In particolare quello che viene chiamato «vetro fenicio», un tipo di vetro completamente diverso da quello tradizionale. Mentre vasi, piatti, coppe e altri recipienti in azzurro, verde e marrone miele riempiono gli scaffali del negozio, il vetro fenicio occupa un luogo speciale dovuto alla sua atipica bellezza: mescolanza di colori, struttura con un tocco di antico e forme fenice. «Non posso svelare il segreto di famiglia», si difende Samer quando gli chiediamo di spiegare come si fa questo nuovo prodotto. «Posso solo dire che è un segreto… Abbiamo iniziato a commercializzarlo cinque anni fa ed è stato un successo, specialmente tra i turisti nordamericani, che ne sono affascinati».

La principale fonte di guadagno per questa impresa artigianale familiare è infatti il turismo. Il muro di separazione, i controlli degli israeliani e in generale, la situazione d’instabilità hanno inferto però un duro colpo all’affluenza di pellegrini in Cisgiordania. «Proprio adesso siamo in una situazione molto critica, sono pochi i turisti che raggiungono Hebron», si lamenta Samer mentre suo padre, seduto al suo fianco, gli ricorda che prima delle due intifade, mediamente  20 o 30 autobus di turisti al giorno visitavano il laboratorio. «Le code arrivavano fino alla fine della strada».

Nonostante la crisi, l’intraprendenza di questa famiglia resta più che mai vitale. «Uno dei miei fratelli è andato negli Stati Uniti per studiare e ha cominciato a fare marketing dei nostri prodotti in quel Paese, partecipando a esposizioni e fiere», racconta Samer. «Un altro fratello è stato in Germania e ha fatto lo stesso. Di recente è partito un camion carico di prodotti per la Germania, per non parlare dei piccoli colli spediti per posta. Siamo noi i migliori promotori dei nostri prodotti».

In un periodo nel quale i turisti scarseggiano, gli artigiani del vetro di Hebron sono impegnati al massimo per trovare altre vie per raggiungere nuovi acquirenti. Una sfida quanto mai difficile in un mondo globalizzato.

«Chiunque potrebbe copiare il nostro prodotto, farlo in Cina e venderlo a un prezzo molto più economico – spiega Samer – però perderebbe di autenticità. I clienti preferiscono comprare un prodotto che sanno essere stato fatto seguendo le tecniche artigianali e che mantiene il suo carattere spiccatamente tradizionale».

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