Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Nonostante tutto è un capitolo nuovo

Manuela Borraccino
20 febbraio 2013
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Le rivolte arabe del 2011 hanno scatenato «l’empatia» fra i cittadini con un’intensità sconosciuta da decenni: e, rimarca il sociologo libanese Samir Franjiyeh, hanno restituito agli arabi «l’autostima» perduta, mettendo definitivamente fuori gioco le opposte ideologie del «nazionalismo malato» e del «fanatismo islamico».


È qualcosa di più di un libro-intervista Il giorno dopo la Primavera, dialogo fra il giornalista Riccardo Cristiano e il deputato libanese Samir Franjiyeh. A due anni dalle rivolte, Cristiano ripercorre la parabola politica e intellettuale del suo interlocutore e lo invita a leggere gli sviluppi del 2011 alla luce della storia del Medio Oriente e della tormentata «formula libanese». Franjiyeh – discendente da una delle dinastie maronite che maggiormente hanno contribuito alla vita politica del Paese dei cedri (lo zio è stato presidente del Libano dal 1970 al 1976) – offre una lettura della Primavera araba inedita e strettamente collegata agli sforzi fatti negli ultimi decenni per costruire un’autentica «società del vivere insieme» in Libano, a dispetto della violenza e della crudeltà che il Paese ha conosciuto nei quindici anni di guerra civile (1975-1990).

Con l’ausilio di numerose schede che ripercorrono i principali fatti e temi-chiave dell’attualità mediorientale, i due intellettuali accompagnano il lettore dentro la complessità delle vicende che, a partire dal crollo dell’Impero Ottomano e dalla nascita dello Stato di Israele, hanno contrassegnato la regione. E invitano a superare certe letture «orientaliste» del travaglio che stanno vivendo la Tunisia, l’Egitto e che, presto, vivrà anche la Siria.

«Noi vediamo gli arabi ancora lì, fermi al loro unico bivio: quello che da una parte porta ai generali e dall’altra ai fanatici di Allah», spiega Cristiano. Ma la Primavera araba, rimarca Franjiyeh, ha segnato da una parte il superamento del nazionalismo panarabo e dall’altra la sconfitta del fondamentalismo religioso e delle sue degenerazioni violente in forme eversive; vent’anni dopo il crollo dell’ex Unione Sovietica, ha posto fine al «secolo lungo» del mondo arabo. «L’ultimo sigillo lo avremo con la caduta di Damasco».

Ma esiste davvero un’alternativa islamica? Che cosa rappresenta oggi l’Islam politico? C’è da dire che Franjiyeh, tra gli autori della Lettera da Beirut del giugno 2004 che a suo avviso ha gettato le basi dell’intifada libanese scatenata dall’omicidio del’ex primo ministro Hariri l’anno dopo, e di un ulteriore manifesto pubblicato nell’estate 2011 con personalità musulmane su un nuovo concetto di cittadinanza, appare ben attento a non urtare certe sensibilità. E a non entrare nel merito delle difficoltà di approdare a Costituzioni condivise da laici e religiosi e rispettose delle minoranze tanto in Tunisia come in Egitto. «I problemi sono enormi – ammette – e le forze che intendono strumentalizzarli sono in campo. Ma il dettaglio non può farci perdere di vista il dato di fondo: con il crollo dei regimi nazionalisti crolla la causa dell’ideologizzazione della religione, e comincia la turbolenta gestazione di un’epoca nuova, quella delle democrazie islamiche, dei partiti demo-islamici: più in là lo vedremo più nitidamente…». I suoi giudizi appaiono su questo punto evasivi.

Franjiyeh si dice convinto che l’Islam abbia in sé «la capacità di tornare ad essere una religione» dopo esser stata trasformata in ideologia. Per i cristiani arabi, afferma, gli sviluppi della Primavera araba offriranno l’occasione di «giocare un ruolo da honest broker» nel mondo arabo: «Questo è il momento storico dei cristiani d’Oriente», che «non devono restare alla finestra in un’impossibile equidistanza tra regime e insorti» in Siria. Occorre un ancoraggio ideale al ruolo avuto dai cristiani nella Nahda, il Rinascimento arabo della seconda metà del Diciannovesimo secolo che tanta parte ha avuto nello sviluppo del pensiero politico, della letteratura, del cinema e del giornalismo siro-libanese.

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