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Nasser Abu Farha. Il miracolo di Canaan

Marta Fortunato
28 gennaio 2013
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Nasser Abu Farha. Il miracolo di Canaan
Il frantoio che produce l'olio commercializzato dalla Canaan Fair Trade.

La Palestina non c’è sull’atlante, ma almeno siamo riusciti a metterla sugli scaffali di tutto il mondo». Nasser Abu Farha sorride soddisfatto quando racconta di com’è nata l’idea di creare un’associazione di commercio equo e solidale in Palestina. Mentre studiava antropologia all’Università del Wisconsin, il dottorando palestinese, originario del piccolo villaggio di Jalama nella Cisgiordania settentrionale, veniva a conoscenza delle pratiche di commercio equo in uso in Africa, Sud America e Sud Est asiatico. «In Palestina si trattava di una cosa nuova, mai provata prima –  continua Nasser – ed in più non esisteva uno standard internazionale di commercio equo per l’olio d’oliva». Tuttavia Abu Farha non si è perso d’animo e nel 2004 ha deciso di creare l’Associazione palestinese di commercio equo-solidale (Pfta), che è oggi la più grande unione di produttori di commercio equo-solidale in Palestina. Nello stesso anno Nasser, per creare un’opportunità di mercato per i contadini della zona, ha investito 100 mila dollari e ha fondato la Canaan Fair Trade, che è presto diventata la più grande esportatrice di prodotti equo-solidali (come miele, mandorle candite e cous-cous) e di olio d’oliva organico palestinese verso l’Europa e gli Stati Uniti.

Potere alle comunità. La Canaan Fair Trade, che comprende oggi più di 1.700 contadini organizzati in 43 diverse cooperative, cerca di dare più potere alle comunità di produttori palestinesi attraverso l’agricoltura biologica. «All’inizio i contadini erano scettici – spiega Nasser -. Non riuscivano a capire chi potesse essere interessato a comprare il loro olio pagando un prezzo superiore a quello di mercato». Invece l’idea si è dimostrata subito di successo, e dal 2004 ad oggi il prezzo dell’olio è raddoppiato. Prima dell’inizio di questo progetto gli agricoltori palestinesi vendevano l’olio ad un prezzo che era più basso del 23 per cento rispetto al costo di raccolta (8 shekel al chilo, 1,60 euro). Ora invece grazie alle esportazioni che hanno reso questo prodotto conosciuto in molti Paesi del mondo, i produttori guadagnano 22 shekel al chilo (circa 4,5 euro). Ed è la qualità  il segreto di questo successo: dal 2008 nel villaggio di Burqin, a pochi chilometri da Jenin, Canaan Fair Trade ha aperto una nuova struttura per la spremitura e l’imbottigliamento dell’olio dove ci sono pressoi  all’avanguardia importati dall’Italia. In questa struttura lavorano 50 palestinesi, che commercializzano i prodotti di circa 4 mila contadini. «Spremiamo le olive senza l’utilizzo di acqua calda per mantenere l’alta qualità del prodotto – spiega il nipote di Nasser, Ahmad Abu Farha, direttore del Canaan -. Per essere qualificato come olio extra-vergine, i contadini devono raccogliere le olive a mano, senza l’uso del rastrello e portarle subito qui in un contenitore speciale per evitare che si ammacchino». Oggi l’azienda ha un fatturato molto alto, con incassi annuali che toccano i 5 milioni di dollari e con guadagni pari a 600 mila  dollari. Tuttavia, anche la Canaan Fair Trade, come tutti i palestinesi desiderosi di esportare i loro prodotti all’estero, deve fare i conti con i costi legati all’occupazione israeliana che rendono i prodotti dell’azienda meno competitivi. 

Superare i blocchi. «I nostri problemi iniziano fin da quando la merce esce da qui», racconta Ahmad. I prodotti infatti per arrivare in territorio israeliano devono essere prima caricati su un camion palestinese e attraversare un check-point. Per evitare controlli manuali che rovinerebbero la merce, i camion son costretti ad allungare il percorso passando per un posto di blocco dove tuttavia c’è uno scanner che può controllare pacchi di un altezza massima di 1,60 metri. Questo significa che circa un terzo dello spazio disponibile sul camion – e successivamente sulla nave – non può essere utilizzato. «Perdiamo circa 70 centimetri in ogni camion, e questo non fa che aumentare i costi di trasporto terrestre e navale: paghiamo per una quantità che in realtà non possiamo trasportare», continua Ahmad.

Nonostante i costi che l’occupazione impone, la Canaan Fair Trade è un esempio di azienda che ha avuto successo e che è riuscita a trovare un fiorente mercato in Europa e in America e dei partner commerciali internazionali.

«Questo progetto – conclude Nasser – ha dato speranza ai contadini palestinesi. Dopo anni di marginalizzazione a causa dell’occupazione israeliana, un’attività  economica che riconosca i diritti dei contadini palestinesi e che rispetti il valore del legame che hanno con la terra, è la nostra principale conquista».

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