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L’Islam politico alla prova

Manuela Borraccino
11 giugno 2012
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L’Islam politico alla prova

Le rivolte arabe hanno offerto ai partiti islamisti un’insperata opportunità di mettersi alla prova, in Tunisia come in Egitto, mentre è iniziata, tanto per le sollevazioni popolari quanto per le istanze dell’Islam politico, la fase di istituzionalizzazione. Ce lo spiega lo storico Massimo Campanini nel suo libro L’alternativa islamica. Aperture e chiusure del radicalismo, fresco di stampa.


Le rivolte arabe hanno offerto ai partiti islamici un’insperata opportunità di mettersi alla prova, tanto in Tunisia come in Egitto, mentre è iniziata «l’istituzionalizzazione» sia delle sollevazioni che delle istanze dell’Islam politico. Massimo Campanini, docente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento e tra i massimi esperti di pensiero politico islamico, va alla radice dell’elaborazione politologica dei maggiori pensatori musulmani del ‘900 nel suo L’alternativa islamica. Aperture e chiusure del radicalismo, arrivato di recente in libreria.

Il saggio di Campanini parte dagli interrogativi sulla carica rivoluzionaria dell’Islam politico così come è stato elaborato a partire da Ibn Taymiyya (1263-1328) e dai suoi eredi nell’era moderna, tanto nel mondo sunnita – con il fondatore del wahabismo Ibn ‘Abd al-Wahhab (1703-1792), Hasan Hanafi (nato nel 1935), il fondatore dei Fratelli musulmani Hasan al-Banna (1906-1949), Sayyid Qubt (1906-1966 ) – quanto nel mondo sciita, con ‘Ali Shari’ati (1933-1977), Ruhollah Khomeini (1902-1989) ed alcuni fra i principali ideologi di Hezbollah, come Muhammad Husayn Fadlallah (1936-2010) e Naim Qassem (nato nel 1953). L’analisi di Campanini cerca di comprendere se l’islamismo rivoluzionario rappresenti, o meno, un’alternativa alla visione del mondo liberista-democratica imposta dall’Occidente.

Lo storico rimarca come nel Ventesimo secolo l’antagonismo islamico abbia rappresentato un fattore mobilitante delle masse rispetto a élite dirigenti che hanno espropriato le risorse dello Stato senza produrre, in cambio, ricchezza e modernità per le classi subalterne. Tale antagonismo è stato alimentato da potenti princìpi costituenti: i concetti di oppressione del popolo, di Jihad e di sovranità di Dio. Ma il prevalere della fenomenologia dell’Islam terroristico, come accaduto in Algeria negli anni Novanta e con Al Qaeda agli albori del nuovo millennio, ha di fatto prevaricato l’Islam politico e ha decretato il fallimento delle sue promesse di giustizia sociale. Almeno fino alle rivolte del 2011. Che hanno fatto parlare quasi subito, secondo Campanini un po’ troppo sbrigativamente, di una fase «post-islamica». Poiché, sottolinea lo studioso, le tesi avanzate da Olivier Roy e Gilles Kepel sul declino del Jihad sembrerebbero oggi smentite dai fatti.

Se è vero, ammette Campanini, che in una prima fase delle rivolte del 2011 gli slogan erano «pane, giustizia e libertà» e che l’Islam non c’entrava niente con le proteste di piazza, di fatto tale interpretazione «post-islamica» è stata superata dall’affermazione elettorale di formazioni che si richiamano all’Islam politico (La Rinascita in Tunisia, Libertà e giustizia in Egitto, Giustizia e sviluppo in Marocco).

Di qui gli interrogativi su quale direzione imprimeranno ai Paesi del Nord Africa i partiti islamisti. Campanini non dà risposte semplicistiche su quale sia il futuro dell’Islam politico e non si lancia in previsioni che risulterebbero oggettivamente premature nella fase assai confusa dell’oggi. Con un saggio più scientifico che divulgativo getta, semmai, luce sui fondamenti dell’islamismo rivoluzionario e fornisce ai lettori gli strumenti per analizzare quelli che potrebbero esserne gli sviluppi. Con pagine illuminanti su quello che sta avvenendo in Iran, dove il secondo mandato presidenziale di Mahmoud Ahmadinejad (2009-2013), per quanto probabilmente inficiato da brogli, ha rappresentato una svolta sul tradizionale strapotere delle forze religiose: le elezioni del 2009, spiega Campanini, «hanno visto il trionfo, per il momento consolidato, delle milizie dei bassij e dei pasdaran, in una militarizzazione (e forse secolarizzazione) del regime iraniano che sembra contendere al clero la direzione della Repubblica».

Quel che è certo, chiosa l’Autore, è che è iniziata una stagione di istituzionalizzazione, ovvero di confronto dei partiti islamisti con le istanze inizialmente laiche, basate sui diritti umani universali, di chi ha rovesciato Ben Ali, Mubarak, Gheddafi. Con due conseguenze: la prima è la situazione di oggettiva difficoltà dei partiti derivati dai Fratelli musulmani e dai salafiti di individuare degli obiettivi chiari ed elaborare una strategia su come ottenerli visto che, dopo aver subito per decenni una conventio ad excludendum, non hanno gli strumenti per affrontare le sottigliezze e le ambiguità della vita politica; la seconda questione riguarda la natura dello Stato islamico. Secondo lo storico è infatti significativo che la maggior parte degli esponenti di questi partiti abbiano cercato di avallare, soprattutto in Egitto, una visione pragmatica dello Stato islamico, consapevoli della difficoltà di realizzarlo (come del resto hanno preso atto i membri di Hezbollah in Libano) e di quanto sia oggi un concetto fondamentalmente ambiguo, che è assai difficile riempire di contenuti proprio perché le categorie del pensiero islamico classico non sono state declinate finora in maniera sufficientemente chiara per capire come coniugare Islam, giustizia sociale e modernità.


Massimo Campanini
L’alternativa islamica. Aperture e chiusure del radicalismo
Bruno Mondadori ed., Milano 2012
pp. 168 – 18,00 euro

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