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La svolta di Ulpana

Giorgio Bernardelli
8 giugno 2012
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La svolta di Ulpana
La casette dell'insediamento di Ulpana, nei Territori Palestinesi occupati.

Abbiamo sentito parlare talmente tante volte della questione degli insediamenti che non riusciamo più a distinguere le notizie importanti. Se poi ci aggiungiamo il fatto che il conflitto israelo-palestinese è ormai da tempo uscito dalle agende della politica internazionale, capiamo come sia possibile che in queste ore si stia consumando l’ennesimo capitolo della vicenda nel silenzio del mondo...


Abbiamo sentito parlare talmente tante volte della questione degli insediamenti che non riusciamo più a distinguere le notizie importanti. Se poi ci aggiungiamo il fatto che il conflitto israelo-palestinese è ormai da tempo uscito dalle agende della politica internazionale, capiamo come sia possibile che in queste ore si stia consumando l’ennesimo capitolo della vicenda nel silenzio del mondo (e soprattutto nel silenzio di quel presidente Barack Obama che all’inizio del suo mandato ci aveva fatto pensare di prendere sul serio la questione).

Ricapitoliamo i fatti. Come in questa rubrica abbiamo scritto più volte, ci sono degli insediamenti israeliani in Cisgiordania che sono illegali per la stessa legge israeliana: una norma stabilisce infatti che non possano sorgere su terreni sui quali singoli palestinesi possono accampare diritti di proprietà. Sembrerebbe una regola ovvia e invece è successo anche questo in Cisgiordania. Così dopo un lunghissimo iter giudiziario la Corte Suprema israeliana non solo ha stabilito il loro sgombero ma – visto che il governo Netanyahu non lo faceva – ha fissato anche delle date. Dunque entro il primo luglio deve essere sgomberato Ulpana, che è un sobborgo illegale della colonia di Beit El. L’estrema destra, l’ala più vicina ai coloni, non ne voleva comunque sapere e ha cercato il blitz, portando alla Knesset un disegno di legge che avrebbe legalizzato Ulpana e tutti gli altri outpost messi nel mirino dalla Corte Suprema. La cosa era evidentemente improponibile e quindi Netanyahu ha messo il governo di traverso, minacciando di espellere chiunque si fosse schierato a favore.

C’è, tuttavia, un piccolo particolare: Netanyahu lo ha fatto solo perché per il governo non era tecnicamente possibile fare altrimenti. Il primo ministro si è però preoccupato di indorare ampiamente la pillola ai coloni con ben due annunci. Il primo è consentirà di costruire, in un’altra zona di Beit El, 300 nuove case (contro le 84 di Ulpana) e altre 550 in zone «legali» degli altri insediamenti contestati dalla Corte Suprema. L’altro è che comunque legalizzerà alcuni outpost che sorgono su terra «demaniale». Il che vuol dire che – per la prima volta dagli accordi di Oslo (1993) – il governo Israeliano darà il via libera non a nuove case in insediamenti che ci sono già, ma a veri e propri nuovi insediamenti. Il che, da qualunque parte lo si rigiri, è un’aperta violazione della Road Map sottoscritta da Israele con il Quartetto (Stati Uniti, Russia, Onu, Ue) nel 2003.

È una svolta di una portata devastante sul futuro della questione degli insediamenti. Molto più grave di tutti gli annunci di nuove edificazioni che abbiamo ascoltato negli ultimi anni. Per capirlo davvero, però, bisogna fare quello che in tutti i discorsi sugli insediamenti non si fa mai: guardare una mappa vera. Perché è così che balza all’occhio come 300 nuovi appartamenti a Beit El siano un fatto enormemente più importante di 1.500 a Ma’ale Adumim o Modi’in Illit. Come si vede bene nella carta redatta da B’Tselem che linkiamo qui sotto, Beit El – che è poi il luogo dove secondo la tradizione sarebbe avvenuto il sogno di Giacobbe – sta nel cuore della Cisgiordania. Sorge ben oltre il tracciato del muro, al di là della città di Ramallah, nel bel mezzo delle aree A e B, quelle più densamente popolate dai palestinesi e che in teoria sarebbero già sotto controllo dell’autorità palestinese. Beit El – dunque – è uno di quegli insediamenti assolutamente incompatibili con qualsiasi discorso sui due Stati. Se un giorno ci sarà lo Stato della Palestina, a Beit El non potranno esserci coloni. E quindi queste 300 case sono un nuovo macigno posto sulla strada di una soluzione possibile del conflitto. Netanyahu, dunque, sgombererà sì nei prossimi giorni Ulpana, e magari vedremo anche le immagini alla tivù. Ma ha già messo in chiaro che Israele non rinuncia a Beit El.

A rispondergli, come al solito, è rimasta solo Peace Now. «Ciascuna di queste nuove case – ha scritto il movimento pacifista in una lettera aperta al primo ministro – minaccia la possibilità della soluzione dei due Stati, rende più difficile la nostra separazione dai palestinesi e minaccia l’identità ebraica e democratica dello Stato di Israele». Parole profondamente vere. Destinate purtroppo ancora una volta a disperdersi nel vento.

Clicca qui per leggere l’articolo di Yediot Ahronot sull’annuncio delle nuove case a Beit El

Clicca qui per scaricare la mappa di B’Tselem sul muro e gli insediamenti e vedere dove si trova Beit El

Clicca qui per leggere la lettera di Peace Now

 

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