Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

La preziosa (e delicata) arte del compromesso

mons. David M. Jaeger ofm
16 maggio 2012
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«Umanità», «ragionevolezza», «onorabilità», «lungimiranza»: sono trascorsi dieci anni da quando mi trovavo ad invocarle, sempre di nuovo e molte volte al giorno, per trentanove giorni, senza sosta, nei comunicati, nelle dichiarazioni, nelle interviste, alle agenzie, ai giornali, alle televisioni, da portavoce ufficiale della Custodia di Terra Santa; mentre i confratelli frati minori, assieme alle suore «minime», si trovavano sotto assedio nel complesso del santuario della Natività a Betlemme (dal 2 aprile al 10 maggio 2002 – ndr), rischiando di essere bersaglio in qualsiasi momento del fuoco incrociato tra l’esercito che circondava la basilica e gli uomini armati che vi si erano rifugiati.

La storia è ben conosciuta, particolarmente il sereno eroismo dei francescani che, nonostante le fortissime pressioni in tal senso, perseveravano al loro posto, e si rifiutavano di abbandonare il Luogo Santo. 

Dal primo momento, in pubblico come in privato, ho cercato a nome della Custodia di far vedere a tutti che non era difficile risolvere la situazione pacificamente e onorabilmente, se solo si fosse accettato, da una parte e dall’altra, di non poter «vincere», e di dover invece acconsentire a un ragionevole «compromesso». Cercavo di spiegare: il compromesso si ottiene distinguendo nelle richieste delle parti tra l’irrinunciabile e il tollerabile.

Nel caso, l’irrinunciabile per l’esercito era di allontanare gli uomini armati dal teatro dei combattimenti, e per gli uomini armati di non essere catturati e sottoposti inermi alla prigionia a tempo indeterminato.  Un salvacondotto perché questi si potessero trasferire nella Striscia di Gaza, allora governata dall’Autorità palestinese, avrebbe assicurato il risultato agli uni e agli altri, a prezzo di rinunce nei limiti del tollerabile: l’esercito avrebbe receduto dal catturare e interrogare i «ricercati», ma li avrebbe comunque esclusi da future azioni in zona, «punendoli» inoltre con l’allontanamento dalle loro case; gli uomini armati avrebbero accettato di non rientrare a casa e di non riprendere la loro vita «al secolo», chissà fino a quando. Ma sarebbero comunque rimasti liberi, sani e salvi, in mezzo a loro connazionali, e non in prigionia.

Più di così nessuna delle parti in gioco poteva sperare di ottenere, insistevo: l’esercito non li avrebbe mai lasciati semplicemente tornare a casa, con le loro armi, come se nulla fosse, ed essi non si sarebbero mai arresi; il rischio era che finisse tutto con un orrendo bagno di sangue, proprio nel Santuario del Bambino Gesù. Mi sembrava evidente. Eppure si faticava senza risultato.

Finché la Casa Bianca non intervenne con decisione per imporre essenzialmente lo stesso compromesso che la Custodia aveva proposto dagli inizi della crisi. Ma non potevano le parti contendenti darci ascolto prima, ed uscirne tutte e due molto meglio?

Nella storia del conflitto in corso in Terra Santa quello dell’assedio alla Natività è stato un episodio, ormai chiuso da un decennio. Ma di fronte ai tanti conflitti umani inutili che insanguinano la faccia della terra, ci viene da pensare: quanta sofferenza il genere umano avrebbe potuto (e potrebbe) risparmiarsi se solo avesse imparato la preziosa arte del compromesso.

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