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Leader della Primavera araba a Roma: «Ripartiamo dalla cittadinanza»

Manuela Borraccino
29 febbraio 2012
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Leader della Primavera araba a Roma: «Ripartiamo dalla cittadinanza»
Un momento del convegno sulle rivolte arabe organizzato quest'oggi a Roma dalla Comunità di Sant'Egidio.

La Primavera araba ha offerto l’occasione ai cittadini del bacino mediterraneo di «iniziare a costruire la democrazia e la cittadinanza». Siamo solo all’inizio di una transizione «molto difficile», ma va data fiducia ai partiti islamisti, vincitori alle elezioni. Parole che sono risuonate quest'oggi a Roma durante un convegno organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio.


(Roma) – La Primavera araba ha offerto l’occasione ai cittadini di vari Paesi del bacino mediterraneo di «iniziare a costruire la democrazia e la cittadinanza» e siamo solo all’inizio di una transizione «molto difficile» durante la quale «va data fiducia» ai partiti islamici vincitori dei test elettorali: se falliranno verranno emarginati «già nelle prossime elezioni». Con queste parole il segretario generale del partito islamico tunisino Ennahdha (Rinascita) Rachid Gannouchi ha sollecitato il sostegno dell’opinione pubblica occidentale nel corso del convegno Primavera araba. Verso un nuovo Patto nazionale promosso quest’oggi a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio.

L’affollato convegno, organizzato nella sede della Comunità a Trastevere, ha visto sfilare alcuni fra i maggiori protagonisti delle rivolte arabe, nella giornata aperta dal ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione, nonché fondatore di Sant’Egidio, lo storico Andrea Riccardi.

Gannouchi, rientrato a Tunisi dopo 22 anni di esilio in Gran Bretagna, parlava della Tunisia ma le sue osservazioni valgono in parte anche per l’Egitto, dove i Fratelli musulmani hanno ottenuto con i salafiti oltre il 60 per cento dei consensi nelle recenti elezioni per le due Camere del Parlamento. «Siamo una nazione giovane, e sappiamo bene – ha detto Gannouchi – che è più facile distruggere un regime che edificare una democrazia. La prima sfida è politica: come passare dopo 23 anni da un regime basato sulla repressione a una democrazia fondata sulle libertà? Mentre cerchiamo una via tunisina alla democrazia, tentiamo di mediare tra diverse opinioni e interessi». «La primavera araba ha definitivamente inaugurato la stagione dell’unione tra Islam e democrazia», ha affermato, ricordando che nel suo Paese «è stato già fondamentalmente superato il dibattito sull’inclusione di forze laiche nello spazio pubblico ed anche quello sulla rappresentanza femminile in politica: in Tunisia sono donne 49 dei 117 membri dell’Assemblea costituente».

La seconda sfida è economica: come superare la corruzione sistemica che attraversa il Paese. “Si sa – ha rimarcato Gannouchi – che Ben Alì aveva basato il regime sulla corruzione. Tra l’altro era legato a diverse mafie europee, e questo con la complicità della comunità occidentale che gli ha conferito diverse lauree honoris causa in Europa. La lotta alla corruzione è certamente il primo passo per la creazione di posti di lavoro. Anche da questo punto di vista gli islamisti sono per così dire al banco di prova: se falliscono nel raggiungere gli obiettivi di portare acqua potabile, creare lavoro e garantire assistenza sanitaria a tutti la gente volterà loro le spalle già nelle prossime elezioni».

L’arcivescovo greco-cattolico di Beirut, Cyril Salim Bostros, ha ricordato come «cristiani e musulmani abbiano lottato insieme contro gli occupanti stranieri» in quella che è stata «una convivenza non sempre pacifica, ma oggi sono molte le voci che si levano perché si superi il passato». «È auspicabile che tutti gli abitanti dei Paesi arabi non si considerino più vicendevolmente in base alle religioni di appartenenza ma piuttosto della cittadinanza che li unisce. I cristiani vogliono essere considerati cittadini a tutti gli effetti e non una minoranza che chiede protezione: perciò deve esserci un quadro giuridico che permetta a tutti di partecipare alla vita civile e politica».

Il Custode di Terra santa, fra Pierbattista Pizzaballa, ha sottolineato come la connotazione religiosa in Medio Oriente svolga un ruolo formidabile nel definire l’appartenenza sociale e culturale: «Che tu lo voglia o meno – ha osservato – la fede ti definisce nella tua appartenenza sociale e quindi in rapporto all’altro: sei cristiano o musulmano prima ancora che siriano o egiziano… Questo è un aspetto importante da tenere presente, e se c’è un luogo in cui tutto questo è avvertito è proprio la Terra Santa: il dialogo sui principi religiosi è fondamentale ma lo è anche quello sulla comune umanità, sui problemi legati alla piena cittadinanza, alla partecipazione alla vita pubblica, ecc. Una delle ragioni del fallimento dei negoziati è proprio il non aver coinvolto soggetti religiosi, imam e rabbini, nel dibattito per la pacificazione».

Il Custode ha anche chiesto di «recuperare l’aspetto profetico, educativo dell’esperienza religiosa: anche questo deve entrare nella cittadinanza, nelle istanze etiche e sociali, dobbiamo restare nel teorico, ma definire i doveri dei cittadini e ridefinire il rapporto fra religione e politica». Il francescano ha poi evocato la necessità di «ripensare le categorie di storia, memoria, colpa, perdono». «Ciascuno di noi, a livello individuale e collettivo, è definito dalla propria storia e se non sei in grado di leggere la tua storia in senso positivo questo avrà delle conseguenze negative nei rapporti con le altre comunità». Per questo anche i cristiani «devono cercare la partecipazione piena al di là della protezione o garanzia». «Bisogna cercare una nuova strada, senza irenismi ipocriti o vittimismi isterici, ed evitando le generalizzazioni: i cristiani fanno pienamente parte del territorio e della storia ai quali appartengono, le persecuzioni non devono essere gli unici criteri di lettura. Penso questo sia la sfida principale. Oggi c’è bisogno di costruire relazioni libere e profetiche, e di rileggere la propria storia di convivenza in maniera positiva rispetto alle altre comunità del Medio Oriente».

Ampio spazio è stato dedicato anche alla Dichiarazione del giugno 2011 dell’Università islamica del Cairo Al Azhar, massima autorità accademica del mondo sunnita, che potrebbe confluire nel dibattito sulle modifiche alla Costituzione che avrà luogo nei prossimi mesi. Per Sameh Fawzy, esponente copto del Forum di dialogo islamo-cristiano Bibliotheca alexandrina, la Carta dei diritti costituisce «un pronunciamento importantissimo e senza precedenti» nella storia dell’Egitto. Per questo, ha detto, quattro devono essere i pilastri sui quali costruire il futuro del Paese e della convivenza fra cristiani e musulmani: «Stato di diritto, ovvero un quadro giuridico sulla costruzione delle chiese, sulla libertà di culto, su come disciplinare le conversioni da una fede all’altra; pluralismo politico autentico, come riflettere in Parlamento le diverse ideologie e punti di vista; tolleranza, visto che gli ultimi 50 anni sono stati caratterizzati da intolleranza; infine politiche pubbliche certe sui rapporti fra cristiani e musulmani, che devono essere individuate e perseguite all’interno di meccanismi certi».

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