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Natale 2011, riflettori sui cristiani

Giorgio Bernardelli
24 dicembre 2011
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Natale in Israele è sempre un'ottima occasione per tornare a occuparsi dei cristiani che vivono in Terra Santa. Così sono tanti in questi giorni gli articoli che escono su di loro anche sui siti locali. Intanto - come ogni anno alla vigilia del Natale – l’Ufficio centrale di statistica ha diffuso i dati sulla popolazione cristiana in Israele: 154.500 persone, vale a dire il 2 per cento della popolazione complessiva...


Natale in Israele è sempre un’ottima occasione per tornare a occuparsi dei cristiani che vivono in Terra Santa. Così sono tanti in questi giorni gli articoli che escono su di loro anche sui siti locali.

Intanto – come ogni anno alla vigilia del Natale – l’Ufficio centrale di statistica ha diffuso il suo rapporto annuale sulla popolazione cristiana in Israele. Purtroppo si tratta di un documento pubblicato solo in ebraico; ed è un vero peccato perché i numeri che contiene meriterebbero di essere analizzati in profondità. In queste pagine, infatti, c’è sì il dato generale: si legge – dunque – che i cristiani oggi in Israele sono 154.500, vale a dire il 2 per cento della popolazione complessiva del Paese. Ed è un numero che va spiegato: come tutte le statistiche israeliane non comprende la popolazione araba della Cisgiordania (ad esempio i cristiani di Betlemme), però include comunque i palestinesi di Gerusalemme Est.

Ma i dati veramente interessanti sono quelli che descrivono chi sono questi 154.500 cristiani, offrendo alcuni punti di riferimento sui mutamenti in atto. C’è soprattutto una percentuale da tenere a mente: oggi tra i cristiani d’Israele solo l’80,4 per cento sono arabi. E chi sono gli altri? In gran parte sono i cristiani immigrati in Israele dall’ex Unione Sovietica negli anni Novanta insieme a loro congiunti ebrei. Ormai rappresentano quasi un quinto della comunità cristiana. Ma il rapporto contiene anche un altro dato estremamente significativo in questo senso: si dice che durante il 2010 in Israele sono nati 2.511 bambini registrati alla nascita dalle loro famiglie come cristiani. Di questi 1.985 erano arabi (79 per cento, in linea con il dato generale). Ma le proporzioni cambiano se si va a guardare gli altri 526: quelli nati da famiglie originarie dell’ex Unione Sovietica sono solo il 40 per cento; gli altri sono di origine etiope (15 per cento), filippina (8 per cento), rumena (7 per cento) e degli altri Paesi da cui provengono i lavoratori stranieri arrivati come manodopera in Israele. E tutto questo nonostante la legge israeliana scoraggi queste nascite. È un dato che dice quanto il futuro di questi bambini, presenti in maniera precaria nel Paese, sia oggi una sfida cruciale per la comunità cristiana d’Israele.

Anche perché questa presenza sta diventando pure il segno di una nuova visibilità per i cristiani nella società israeliana. Tra gli articoli più interessanti pubblicati in questi giorni c’è un servizio realizzato da Tel Aviv dall’Associated Press in cui si parla proprio del Natale di questi cristiani venuti da lontano. E che spiega molto bene come sia proprio con loro che in alcuni quartieri della città laica e sionista per eccellenza la festa dei cristiani anno dopo anno stia assumendo una nuova importanza. Non essendo arabi questi nuovi cristiani riescono a far parlare di sé in una maniera un po’ diversa rispetto agli schemi. Non è una provocazione interessante anche per altri contesti?

Più deludente, invece, un reportage sui cristiani uscito su un altro sito israeliano: quello di Yuval Ben Ami per il blog +972. Un lungo viaggio di dieci giorni nella Terra Santa dei cristiani, con puntate quotidiane e scritto da un autore nient’affatto ostile. Eppure leggendolo ci si imbatte in tante fotografie e tanto colore. Qualche incontro simpatico, qualche bella citazione letteraria. Ma ciò che manca del tutto è la storia di questa presenza, la vita delle comunità cristiane, quello che alla fine le rende qualcosa di più di un elemento di folklore. Per cui anche il viaggio «impegnato» assomiglia comunque molto alla foto stereotipata di Babbo Natale sulle mura di Gerusalemme, che in queste ore compare sull’homepage del sito di Haaretz.

Forse è proprio questa la vera sfida che ogni Natale ripropone ai cristiani in Israele: riuscire a mostrare il proprio volto più vero. Che poi – guarda caso – è proprio la stessa che viviamo anche noi nelle nostre città. Perché a Natale la Terra Santa non è un luogo magico, ma un posto che parla di noi.

Clicca qui per leggere (in ebraico) il rapporto sui cristiani in Israele dell’Ufficio centrale di statistica.

Clicca qui per leggere l’articolo dell’Associated Press

Clicca qui per leggere il reportage di Yuval Ben Ami da Betlemme

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