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La basilica della Natività e le cantonate di Repubblica.it

Terrasanta.net
5 dicembre 2011
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Qualche giorno fa la testata digitale la Repubblica.it proponeva, nella sezione multimediale, un breve video sui restauri da porre in essere nella basilica della Natività, a Betlemme. In un minuto e mezzo – tanto dura il servizio – è impossibile approfondire le questioni, ma ciò non autorizza a calcare i toni. Qualche puntualizzazione.


(Milano) – Qualche giorno fa la testata digitale la Repubblica.it proponeva, nella sezione multimediale, un breve video sui restauri da porre in essere nella basilica della Natività, a Betlemme. In un minuto e 25 secondi – tanto dura il servizio intitolato I palestinesi ristrutturano la Basilica della Natività – è impossibile approfondire le questioni, ma il breve tempo a disposizione non dovrebbe per forza indurre a calcare i toni.

Dopo aver detto che la basilica di Betlemme è stata meta di «2 milioni di visitatori lo scorso anno», non si può descriverla in condizioni di «degrado e abbandono», il che palesemente non corrisponde alla realtà. Ancor più inappropriato è definire sbrigativamente «antiche faide» le difficoltà, di certo radicate nel tempo, inerenti al peculiare regime giuridico, internazionalmente voluto, riconosciuto e garantito, che regge l’edificio sacro.

Come è noto, a motivo dei violenti interventi dell’allora Impero Ottomano, specie nel 1757, la gestione prevalente del Santuario fu tolta alla Chiesa cattolica – che la Santa Sede voleva, e vuole, ivi rappresentata dai frati minori della Custodia di Terra Santa – sostituendo ad essa un «condominio» coatto, condiviso, secondo precise regole, con le comunità non-cattoliche di monaci greco-ortodossi e armeni. Questo regime giuridico – denominato «dello Status quo» – essendo ratificato da vari consessi internazionali, si trova ora confermato anche dal trattato bilaterale del 2000 tra la Santa Sede e i competenti organi palestinesi.

Mentre nella vita di ogni giorno, di preghiera e accoglienza dei pellegrini e visitatori, le tre Confessioni presenti nella basilica della Natività, hanno i loro ambiti pacificamente predefiniti, gli interventi strutturali straordinari, di cui da qualche tempo si avverte la necessità, richiedono il consenso unanime di tutte e tre. Nel caso specifico, i non-cattolici, per motivi loro, hanno ritenuto di non poter addivenire all’accordo, diversamente da quanto accaduto in precedenza per la basilica del Santo Sepolcro in Gerusalemme, dove vigono analoghe regole.

Secondo lo stesso regime giuridico, qualora manchi l’accordo unanime (come in questo caso a Betlemme) per effettuare opere di riparazione comunque necessarie e non più differibili, è stretto dovere del potere civile pro tempore intervenire per assicurarne l’esecuzione. Così ha fatto, e sta facendo, in accordo con i suoi impegni internazionali, l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) che lo scorso anno ha anche stanziato un milione di dollari per i lavori di indagine strumentale sulle condizioni della basilica. Quella fase, condotta anche da tecnici italiani, si è conclusa nei mesi scorsi. Si tratterebbe ora di passare agli interventi veri e propri di restauro e consolidamento, della copertura dell’edificio sacro in primo luogo.

Si parla sì di 10-15 milioni di dollari di spesa, ma che basterebbero, probabilmente, solo a coprire una prima fase delle opere necessarie. Somme ingenti tanto per le entità religiose «comproprietarie» del luogo di culto cristiano, quanto per il governo palestinese. Il ricorso alla solidarietà internazionale è nell’ordine delle cose.

Dal punto di vista dell’Anp può aver senso appellarsi all’Unesco – l’agenzia culturale dell’Onu della quale è ormai membro a pieno titolo – perché attribuisca il rango di «patrimonio dell’umanità» alla basilica di Betlemme. La decisione garantirebbe maggiori tutele – anche internazionali – al monumento e faciliterebbe, probabilmente, l’accesso a nuove fonti di finanziamento.

La prospettiva di coinvolgere l’Unesco non può però non destare qualche preoccupazione, dal punto di vista delle autorità religiose. Lo statuto di «patrimonio dell’umanità» comporta un suo regime giuridico «standard», che si sovrapporrebbe a quello peculiare, esso pure di matrice internazionale, che regge il Luogo Santo, e di cui occorrerebbe in ogni caso assicurare l’integrità e il carattere prevalente. Inoltre, per sua natura (un’Organizzazione fatta di Stati), l’Unesco avrebbe come proprio interlocutore il governo civile, quasi fosse esso il responsabile del Santuario tutto, mentre in verità lo sono esclusivamente le tre comunità (nell’ordine della precedenza cerimoniale): il patriarcato greco-ortodosso, la Custodia di Terra Santa e il patriarcato armeno ortodosso. Spetta al governo civile solo l’imprescindibile, infrequente, intervento staordinario, in caso di mancato accordo unanime delle tre comunità. Parrebbe opportuno quindi, assicurare che l’eventuale ruolo dell’Unesco non leda il regime giuridico proprio del Luogo Santo, e che non crei il rischio che il governo civile (nel caso, l’Anp) si trovi costretto a sostituirsi alle (esclusivamente) competenti autorità religiose anche al di fuori delle ben delimitate responsabilità che al governo civile spettano a norma del diritto.

P.S. – A 58 secondi dall’inizio del servizio di la Repubblica.it viene inquadrato un giovane uomo, probabilmente palestinese. Contrariamente a quanto farebbe pensare il commento sonoro, non è però lui il responsabile del Turismo per l’Autorità Palestinese. Il ministro Khouloud Daibes è infatti una gentile signora (vedi fotogallery).

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