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Il punto sulla Siria

Giuseppe Caffulli
3 ottobre 2011
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Il punto sulla Siria
Una manifestazione di piazza in Siria.

Quale atteggiamento devono tenere i cristiani nella crisi siriana? Mentre esponenti dell’episcopato sembrano schierarsi nella difesa del regime, alcuni cristiani (laici e sacerdoti) chiedono il coraggio della profezia e della denuncia. In un contesto che, per le Chiese locali, è soprattutto di timore per il futuro. Da parte nostra avvertiamo la necessità dell’ascolto (anche delle posizioni dissonanti) per cogliere la complessità di una situazione carica di contraddizioni.


Nelle ultime settimane, diversi lettori ci hanno scritto o ci hanno fatto pervenire le loro opinioni in merito alla linea che Terrasanta.net terrebbe sulla crisi siriana. Ed in particolare, sui pronunciamenti di alcuni esponenti dell’episcopato locale troppo schierato nella difesa del presidente Bashar Al-Assad, che da mesi sta facendo muro (pur promettendo il contrario) di fronte alle richieste di cambiamento e riforme portate avanti da ampi settori dell’opinione pubblica interna. Un movimento che, nato sull’onda della «primavera araba», starebbe per trasformarsi – almeno secondo alcuni osservatori – in qualcosa di diverso e difficilmente decifrabile.

Quale che sia la situazione, un fatto è certo: dall’inizio delle proteste nel Paese il prezzo di sangue è stato altissimo (ad oggi si parla di almeno 2700 vittime).

La posizione dei cristiani di fronte a ciò che sta accadendo nel mondo arabo è oggi quanto mai delicata. Di questi giorni è, per esempio, la notizia che il Consiglio supremo delle forze armate egiziane, che di fatto governa il Paese, ha approvato un emendamento alla legge elettorale che riserva all’esercito una parte dei seggi e di fatto favorisce i partiti di ispirazione islamica. Cosa faranno i cristiani copti di fronte a un progressivo tradimento dello spirito della rivoluzione di Piazza Tahrir?

Il dilemma circa cosa e come fare, preoccupa non poco la comunità cristiana che vive in Siria, dove in generale prevale la paura. E dove alcuni esponenti dell’episcopato locale (ma dello stesso avviso si è dichiarato il patriarca maronita del Libano Bechara Rai) sono convinti (o almeno sperano) che Bashar Al-Assad voglia realizzare le riforme promesse (e mai realizzate) e ridare al Paese pace e stabilità. Di fronte alle notizie di brutali repressioni patite dalla popolazione civile, alcuni vescovi hanno scelto di minimizzare, o di sottolineare piuttosto il peso del fondamentalismo musulmano, bollando i manifestanti come terroristi. Altri ancora, pur convinti nel loro intimo della opportunità di una evoluzione democratica del Paese, antepongono ad ogni discorso di principio la necessità di garantire alla Chiesa e alle comunità cristiane una possibilità di vita, scommettendo sulla tenuta del regime che finora avrebbe garantito laicità contro derive confessionali.

In svariate conversazioni con cristiani siriani (che però per paura chiedono di restare anonimi) viene spesso prospettato il «pericolo iracheno»: in quel Paese la Chiesa, tutto sommato tollerata sotto il regime dittatoriale di Saddam Hussein, è ora costretta alla diaspora.

Accadrà la stessa cosa in Siria?

Molti cristiani locali sono convinti di sì: la caduta di Assad, che a loro dire ha garantito sicurezza, potrebbe spalancare le porte a una situazione simile a quella dell’Iraq post-Saddam. In due parole, una tragedia.

Ovviamente non tutta la comunità cristiana siriana la pensa allo stesso modo. Ci sono sacerdoti, religiosi, laici che sposano senza se e senza ma il cambiamento, e iniziano ad essere insofferenti rispetto alle posizioni dell’episcopato. Invocano democrazia, libertà, in una società plurale e rispettosa delle differenze. Chiedono agli stessi vescovi il coraggio della profezia, perché essere cristiani vuol dire pensare al bene comune, alle necessità di tutti (cristiani e non). E Assad sembra oggi non esprimere questa attenzione al bene di tutta la nazione (composta da vari gruppi etnici e religiosi, in equilibrio precario tra loro).

La voce di questi cristiani, specie di quelli che vivono nel Paese, appare però ancora flebile e timida. Più vigorosa invece quella di coloro che vivono in diaspora, e sperimentano una possibilità d’espressione e d’opinione sconosciuta entro i confini siriani.

In questo complicato contesto, da che parte sta Terrasanta.net (ma questo discorso vale per la rivista e le altre pubblicazioni curate dalla redazione delle Edizioni Terra Santa)?

Il nostro atteggiamento è prima di tutto quello dell’ascolto. Ci sono voci che a volte sembrano dissonanti (o disturbanti), ma ci aiutano a capire un contesto, a leggere sfumature, a dare importanza a situazioni. Riportare un’opinione, per chi fa giornalismo, non significa necessariamente sposarla. Noi, fuor di metafora, non stiamo con Assad, ma ci preoccupiamo di dare voce ai nostri fratelli nella fede che si trovano a vivere in quel contesto e le sue tante contraddizioni. Ci sono altre opinioni da rappresentare? Siamo certi di sì e saremo lieti di poterle accogliere.

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