Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Storia d’amore (con pregiudizio)

Giuseppe Caffulli
13 settembre 2011
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Questo romanzo di Naomi Ragen - più che per intrinseci meriti letterari - è interessante perché mette in scena, attraverso le vicende della protagonista Batsheva, il conflitto, spesso drammatico, tra l’ebraismo progressista della diaspora e le correnti più ortodosse. E tra queste quelle dei chassidim del quartiere di Mea Shearim a Gerusalemme. L'autrice introduce il lettore nell’affascinante e complesso mondo dell’ebraismo ortodosso, ma forse inciampa in qualche pregiudizio sul cristianesimo.


La storia è accattivante. Una giovane ebrea della diaspora, Batsheva, ha appena compiuto diciotto anni. È figlia del discendente di una importante famiglia di chassidim, gli Ha-Levi, scampati alle camere a gas naziste. Batsheva vive un’adolescenza felice e sogna, come ogni ragazza, l’amore della vita. Il padre, però decide il suo destino: sposerà il migliore studioso di Talmud, per rinverdire i fasti di una dinastia che ha avuto grande seguito tra gli ebrei ultra-ortodossi. La scelta cade su Isaac, che si rivela gretto, insensibile e violento. Al punto che la giovane, cresciuta in un ambiente decisamente più liberale, arriva sull’orlo del suicidio per liberarsi dall’odioso marito. Fuggita in Europa, si nasconde per un lungo periodo a Londra, insieme al figlioletto. Qui conosce un giovane seminarista che si innamorerà di lei, scoprirà di avere egli stesso origini ebraiche e, una volta che la ragazza avrà ottenuto il divorzio dalla corte rabbinica, convolerà con lei a giuste nozze.

Questo romanzo di Naomi Ragen (più che per intrinseci meriti letterari) è interessante perché mette in scena il conflitto, spesso drammatico, tra l’ebraismo progressista della diaspora e le correnti più ortodosse. E tra queste quelle dei chassidim del quartiere di Mea Shearim a Gerusalemme.

Lei stessa figlia della diaspora (la Ragen è infatti nata a New York e solo dopo il matrimonio si è trasferita a Gerusalemme), la scrittrice introduce il lettore nell’affascinante e complesso mondo dell’ebraismo ortodosso, nelle sue ricchezze e nelle sue contraddizioni. Quando però nell’impianto narrativo viene introdotta la figura del seminarista londinese che si innamora della giovane ebrea transfuga e che la aiuterà ad affrancarsi dalla sua condizione, il racconto mostra i suoi più evidenti limiti. Nel tratteggiare il profilo psicologico di questo personaggio (uomo tormentato e insicuro della sua scelta) l’autrice finisce forse prigioniera di un suo pregiudizio anti-cristiano, gettando una luce tutto sommato negativa sulla Chiesa e il cristianesimo. La scelta dell’uomo di abbandonare il seminario e di impegnarsi in un nuovo progetto di vita con la rinata Batsheva, è presentata alla fine come una forma di redenzione: ricongiungendosi alle sue origini ebraiche, ha insomma potuto scampare l’inganno della Chiesa.

Siamo perfettamente coscienti che si tratta di un romanzo (con chiare intonazioni da genere rosa). Il fascino dell’ambientazione (Gerusalemme e i suoi quartieri) e alcune pagine ben congeniate (specie quelle relative agli usi e ai costumi dell’ebraismo tradizionale) ci indurrebbero anche a perdonare un eccesso di retorica e di buoni sentimenti. Ma da Naomi Ragen, editorialista e scrittrice tra le più affermate d’Israele, paladina dei diritti umani e delle donne in particolare, ci saremmo aspettati qualcosa di più. In fondo, vivendo a Gerusalemme, per approfondire qualche fondamentale sul cristianesimo sarebbe bastato chiedere.

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