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Boicottaggi e libertà d’espressione

15/07/2011  |  Milano
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D’ora in poi in Israele sarà illegale promuovere il boicottaggio dei prodotti che vengono dagli insediamenti. Lo stabilisce una legge appena approvata dalla Knesset. E che è ovviamente al centro delle discussioni anche sui media israeliani, che mai come in queste ore stanno mostrando il pericoloso grado di polarizzazione raggiunto dall’opinione pubblica.


D’ora in poi in Israele sarà illegale promuovere il boicottaggio dei prodotti che vengono dagli insediamenti. Lo stabilisce una legge appena approvata, tra mille polemiche, dalla Knesset. E che è ovviamente al centro delle discussioni anche sui media israeliani, che mai come in queste ore stanno mostrando il pericoloso grado di polarizzazione raggiunto dall’opinione pubblica.

La Legge anti boicottaggio è un’iniziativa che nasce come reazione alla campagna internazionale Boycott Divestment Sanctions (Bds, «boicottaggio, disinvestimenti, sanzioni»), l’iniziativa che – sull’esempio delle campagne di pressione messe in atto anche dal Mahatma Gandhi nell’India coloniale britannica – si propone di indebolire il movimento dei coloni, invitando a non acquistare merci prodotte nelle aziende agricole o negli stabilimenti industriali israeliani che si trovano nei Territori. Si tratta di una campagna che va avanti ormai da tempo, ma che negli ultimi due anni ha compiuto un salto di qualità, iniziando ad avere un effetto reale sui conti delle imprese israeliane che producono negli insediamenti. Anche perché la stessa Autorità Nazionale Palestinese ne ha fatto una propria bandiera, superando il paradosso per cui chi stava a migliaia di chilometri di distanza attuava un boicottaggio rispetto a prodotti che invece venivano tranquillamente venduti e acquistati a Ramallah o a Betlemme.

Ovviamente la cosa non fa piacere agli sponsor politici degli insediamenti, che hanno sempre tacciato la campagna Bds di essere una forma di «antisemitismo camuffato». E così ora hanno deciso di correre ai ripari, aprendo un fronte interno contro quelle organizzazioni di sinistra o legate agli arabi israeliani che vorrebbero promuovere il boicottaggio degli insediamenti anche nei supermercati israeliani. Così è nato il progetto di legge che – con il sostegno dello stesso premier Netanyahu – è stato approvato dalla Knesset. Una norma in cui si stabilisce che se qualcuno propone un boicottaggio di merci «prodotte in Israele o in parti specifiche del suo territorio» le aziende produttrici possono fare causa chiedendo i danni. Inoltre – se si tratta di associazioni – d’ora in poi perderanno il diritto a sovvenzioni pubbliche.

Ci sono grosse perplessità sulla legittimità di questa legge che di fatto limita pesantemente il diritto alla libertà di espressione. E sono in tanti a scommettere che l’Alta Corte di giustizia israeliana – quando si pronuncerà sui ricorsi che sicuramente verranno presentati – la farà cadere. Ma secondo un sondaggio ben il 52 per cento degli israeliani si dice favorevole a questa norma. E il dibattito sul provvedimento imperversa sulle pagine dei quotidiani. È molto interessante – ad esempio – che lo stesso Haaretz, il quotidiano liberal per eccellenza, ospiti due articoli di parere opposto: c’è Gideon Levy (l’opinionista di sinistra) che spiega perché la nuova legge è un grave pericolo per la democrazia israeliana e c’è Yisrael Harel (l’opinionista vicino al mondo dei coloni) che spiega perché «non dovrebbe nemmeno esserci bisogno» di una legge del genere, se Israele non fosse ormai pieno di «quinte colonne» del nemico.

Il punto da capire è che la maggior parte degli israeliani oggi la pensa come Harel. Il che la dice lunga su quanto gli insediamenti siano diventati un dato intoccabile nella politica israeliana e quanto sia stato colpevole l’atteggiamento della comunità internazionale che in quarant’anni li ha lasciati crescere fino probabilmente a superare il punto di non ritorno.

Un’ultima nota a margine: ho trovato particolarmente lucido sulla vicenda il commento di Tzipi Livni, la leader di Kadima, secondo cui l’unico vero effetto di questa legge ideologica sarà moltiplicare il boicottaggio internazionale di tutti i prodotti israeliani, cioè compresi quelli prodotti non ad Ariel o a Ma’ale Adumim, ma ad Haifa o a Tel Aviv. Perché è il consumatore straniero quello che ha meno possibilità di effettuare distinzioni: non va per il sottile e magari – dopo questa vicenda – sceglierà di non comprare più tutti i pompelmi Jaffa; indipendentemente dal fatto che provengano dagli insediamenti o dalle zone che si trovano entro i confini del 1948. Pur di dare contro ai (pochi) che nel Paese dissentono si aumenta ulteriormente l’isolamento internazionale. Non mi sembra un gran risultato per Israele.

Clicca qui per leggere dal blog +972 una scheda su che cos’è la Legge anti-boicottaggio e come funziona

Clicca qui per leggere il commento di Gideon Levy

Clicca qui per leggere il commento di Yisrael Harel

 

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