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Vittorio e la solitudine di Gaza

Giorgio Bernardelli
15 aprile 2011
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Vittorio e la solitudine di Gaza
Vittorio Arrigoni, rapito e ucciso a Gaza City il 14 aprile 2011.

Ucciso in quella Gaza di cui aveva raccontato senza sconti il dramma. Ucciso nonostante il suo sostegno incondizionato alla causa palestinese. È morto così Vittorio Arrigoni. A soli pochi giorni di distanza dall'uccisione di un altro «amico dei palestinesi», Juliano Mer Khamis. La domanda allora non può che essere: cosa sta succedendo?


Ucciso in quella Gaza di cui aveva raccontato senza sconti il dramma. Ucciso nonostante il suo sostegno incondizionato (e a volte anche unilaterale) alla causa palestinese. È morto così Vittorio Arrigoni (36 anni). A soli pochi giorni di distanza dall’uccisione di un altro «amico dei palestinesi», Juliano Mer Khamis (ne parlavamo in questa rubrica la settimana scorsa).

La domanda allora non può non diventare: che cosa sta succedendo? Di fronte a tanta follia faccio molta fatica a proporre un’analisi vera e propria: mi limito a poche impressioni a pelle. Il primo pensiero che mi viene alla mente è che di fronte a queste due morti non tengono più le semplificazioni, le letture della realtà di chi mette da una parte i buoni e dall’altra i cattivi. Lo dico pensando al fatto che non mi sentivo a casa nel blog di Vittorio Arrigoni; non perché non mi interessassero le notizie che dava, ma non mi convinceva il modo in cui le dava, senza mai far affiorare un dubbio sulle contraddizioni interne a Gaza. Alla fine proprio di queste dinamiche Arrigoni è rimasto vittima.

Certo, giudicare da fuori è sempre molto facile e credo che non sia nemmeno giusto. Guerrillaradio è stato il pugno nello stomaco del testimone che sta lì a ricordarti che dietro alle teorie, alle analisi, ai dibattiti ci sono i volti insanguinati delle persone. Ed è proprio questa la mia paura più grande oggi: la constatazione del fatto che – quando tra due giorni avremo finito di parlare dei salafiti – la gente di Gaza sarà rimasta ancora più sola. Perché diciamocelo chiaramente: se ci interessasse davvero qualcosa di questo milione e mezzo di persone, dopo cinque anni sarebbero ancora nella situazione insostenibile che conosciamo? C’è, dunque, il pericolo molto concreto che la morte di Arrigoni ci porti a stare ancora più alla larga da Gaza.

Ma questo sarebbe il crimine più grande. La vittoria di chi ha ucciso Vittorio Arrigoni. Che non lo ha colpito certo per quello che denunciava sui raid israeliani; lo ha colpito perché vuole che Gaza rimanga il buco nero che è oggi, isolato dal resto del mondo. Perché è in posti così che l’ideologia salafita ha il suo terreno di coltura migliore. Ed è questa l’eredità di Arrigoni che – comunque la pensiamo su di lui – tutti dobbiamo assumerci: quella di riportare il mondo a Gaza, quella di non permettere a nessuno di girarsi dall’altra parte. I ragazzi di Gaza Youth Breaks Out avevano già convocato per oggi una manifestazione per chiedere la liberazione del pacifista italiano. Dopo la notizia della sua morte ne hanno già fatto una bandiera. Non lasciamoli soli proprio adesso.

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